«RAGIONIAMO SU TUTTO
libro Rutte non è riuscito a finirlo. Ma soprattutto non se n’è vista traccia al vertice virtuale dello scorso 19 giugno, dove i leader dell’Unione hanno discusso per la prima volta il Recovery Act da 750 miliardi di euro, proposto dalla Commissione per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid-19. «Questa volta è importante giungere presto a una conclusione, non c’è tutto questo tempo per leggere», dice il primo ministro nell’intervista a 7, la prima a una testata internazionale dallo scoppio della pandemia.
C’è stata tanta incomprensione nei mesi scorsi tra Olanda e Italia. Mark Rutte e il suo ministro delle Finanze, Wokpe Hoekstra, sono stati in prima fila nell’opposizione ai Coronabond, che il nostro governo all’inizio indicò come strumento irrinunciabile della solidarietà europea. Quando poi anche la Germania ha fatto la Grande Magia e Angela Merkel ha infranto il tabù tedesco della comunitarizzazione del debito, Rutte ha indossato la maschera del Dottor Strarigore. È lui il leader morale della “banda dei quattro”, Austria, Olanda, Svezia e Danimarca, i Paesi frugali, o avari secondo la narrazione alternativa, che chiedono limiti e condizioni precise a un aiuto, del quale pure riconoscono l’urgenza e il carattere esistenziale. Tant’è. Come dice lo scrittore Joris Luyendijk, «parlar chiaro non è necessariamente scortesia o maleducazione, la cortesia per l’olandese è una forma d’ipocrisia: ogni calvinista sa che la verità ci rende liberi».
In collegamento video dal Torentje, il suo ufficio all’Aja, Mark
Rutte vuole però iniziare il colloquio su una nota conciliante. «I rapporti tra Olanda e Italia sono eccellenti. Siamo entrambi Paesi fondatori, insieme a Belgio, Lussemburgo, Francia e Germania. Il mio rapporto personale con Giuseppe Conte è forte e amichevole. E le relazioni sono molto migliori di quanto si possa pensare se ci si basa sui media, soprattutto negli ultimi tempi. L’impatto della pandemia per l’Italia è stato enorme, sia in termini di vite umane che di danni all’economia. Lo capiamo e per questo dobbiamo essere pronti ad aiutare l’Italia, ma anche altri Paesi come la Spagna per esempio, a superare la crisi economica. Dobbiamo farlo per spirito solidale, ma anche perché io credo che un’Europa forte sia nell’interesse di tutti. E questo significa anche
un’Italia forte».
A che punto è il negoziato sul Recovery Act? Quanto è lontano un compromesso?
«Quello del 19 giugno è stato un vertice esplorativo. L’atmosfera era buona. Ogni Paese ha colto l’opportunità per esporre la propria posizione. Penso che la proposta della Commissione contenga margini per proseguire la discussione. Senza dubbio ci sono differenze. La trattativa sarà dura, prenderà un po’ di tempo, ma un compromesso è possibile».
Lei, insieme agli altri Paesi cosiddetti frugali, è contrario all’idea di dare più contributi a fondo perduto che prestiti. Perché?
«L’Olanda capisce e appoggia l’appello alla solidarietà. Ma responsabilità significa anche che noi dobbiamo assumerci la nostra. Dobbiamo
solidarietà ai Paesi più colpiti dalla pandemia, sapendo però che anche noi siamo stati colpiti gravemente. Ciò significa che gli Stati i quali necessitano e meritano aiuto devono anche far sì che in futuro siano capaci di affrontare da soli crisi del genere in modo resiliente. E voglio aggiungere che ammiro ciò che fa Giuseppe Conte, cercando di varare un pacchetto di riforme mirate ad aumentare la produttività e la competitività dell’Italia, incluse misure impopolari. È un buon inizio e spero che prosegua. Perché è cruciale che la prossima volta l’Italia sia in grado di rispondere a una crisi da sola».
Ma perché prestiti e non contributi?
«Un sistema di prestiti è molto più logico. Anche quelli sono aiuti. E dalle analisi della Commissione, sappiamo che la sostenibilità del debito di Italia e Spagna non sarà diminuita da nuovi prestiti. Per questo la nostra posizione è che l’aiuto dev’essere fatto di prestiti e non di contributi. Ma insistiamo anche perché ci si concentri sull’aumento della competitività e della resilienza dei Paesi che li ricevono».
Siete pronti ad accettare una combinazione di contributi e prestiti?
«Noi vogliamo che siano solo prestiti».
Ma dovrete pure fare delle concessioni.
«Questa è la sua interpretazione. E va bene. Ma non è la nostra posizione».
È a favore della proposta della Commissione di creare nuove fonti di finanziamento per un bilancio comune più grande?
«L’Olanda è già contributrice
netta al bilancio e non vogliamo ritrovarci in una posizione ancora peggiore, attraverso l’introduzione di nuove risorse proprie».
Vista la portata e la simmetricità della crisi, cioè il fatto che colpisce tutti, la solidarietà finanziaria non è anche un atto di interesse nazionale? Se affondano l’Italia e la Spagna sarà l’intera eurozona, quindi anche l’Olanda, ad affondare.
«Lei ha assolutamente ragione. Ecco perché bisogna dare aiuto. Ma questo deve andare mano nella mano con un’analisi del passato. Italia e Spagna devono rispondere alla domanda: cosa possiamo fare per poter affrontare da soli la prossima crisi? Le nostre economie sono interconnesse. Il 70% del nostro export è verso l’Unione e l’Italia è tra i nostri primi 10 partner. Esportiamo
danno degli altri Paesi?
«Non accetto la sua etichetta di dumping fiscale. L’Olanda cerca di affrontare il problema sulla base di due criteri. Dobbiamo proteggere la nostra base fiscale e questo è cruciale. E come altri Paesi dobbiamo promuovere misure di trasparenza e integrità. La nostra è un’economia aperta. Certo, cerchiamo di creare un clima favorevole agli investimenti per le imprese, riducendo il più possibile la burocrazia. Dobbiamo farlo in modo equilibrato. Combattiamo l’evasione fiscale, incluse posizioni di abuso sul mercato. Abbiamo preso diverse misure negli anni scorsi e altre ne prenderemo. Pensiamo anche che di questo tema si debba discutere non solo a livello nazionale ma anche dentro l’Ocse». Che cosa noi italiani non capiamo dell’Olanda?