Chi sceglie di fare il medico crede nella pietà, non nel lucro Il nostro sciopero è egoista
So che gli psichiatri hanno avuto per anni stipendi miseri e che questa ingiustizia è stata riparata grazie a proteste e astensioni dal lavoro, tuttavia credo che il mio mestiere non possa prevedere questo atto. Quando ne sento parlare mi sale una bava di stizza: oggi guadagniamo cifre ragguardevoli. Basta lamentele, non siamo operai in catena di montaggio
Tutte le volte che la parola sciopero batte sulle mura dell’ospedale, mi sale un’uggia, un’irritazione, una bava di stizza. «Perché? – mi domando – che c’entro io? No – vorrei gridare – non sciopero, non voglio né posso scioperare; sono un medico, un modesto medico, ma tale».
Mi risorge il tempo passato quando al manicomio di Lucca eravamo in quattro gatti di medici e – senza scioperare – facevamo tutto, dalla medicina generale alla piccola chirurgia, e perfino si levavano i denti; e forse non trascuravamo affatto lo studio della psichiatria, e eccome se ci si appassionava ad ogni aspetto della malattia mentale.
È vero, a quel tempo lo stipendio era troppo basso, ingiusto, irriverente, indegno, e molti psichiatri furono costretti a una vita ben modesta, a sacrifici di ogni sorta perché i figli potessero studiare. È vero, questa verità va sottolineata.
Però subito debbo aggiungere che chi sceglie il mestiere del medico – come chi sceglie quello dell’insegnante o del magistrato – prende una via speciale, una sorta di pazienza, se proprio non si vuol dire missione. Il medico sicuramente sceglie la via della pietà, egli si china e si affaccenda sulla persona umana colpita da un male. Se ha invece il lucro per faro, non sarà mai un buon medico; era meglio se si indirizzava al commercio.
Oggi – e invero per mezzo di ripetute proteste e di scioperi – l’ingiustizia dei miseri stipendi agli psichiatri è stata riparata e non trovo più ragioni di lamentele: il numero dei medici negli ospedali psichiatrici è aumentato, e gli stipendi sono ragguardevoli.
Così quando oggi leggo nella stampa su scioperi di medici generici o di specialità – che riscuotono altrettanti buoni stipendi – chissà perché mi sorge la visione della catena di montaggio, operai in fila, piegati a un ritmo di tempi e di movimenti, costretti
a una dura fatica.
Qualcuno a questo punto mette fuori i chirurghi e afferma: «Questi sono insostituibili!». Però, come sarebbe bello se tanti chirurghi delle università si dedicassero di più all’insegnamento, creassero altri bravi chirurghi invece di gettarsi a corpo morto sulle case di cura!
Insomma oggi – secondo il mio avviso – un medico può scioperare soltanto dopo essersi onestamente interrogato se la sua situazione è proprio insostenibile, se stima il suo mestiere differente da quello di un insegnante o di un magistrato, e quanto dista da quello di un operaio.
Per queste ragioni quando mi arriva, sia a voce che per la stampa: sciopero dei medici! mi viene un’uggia, un’acuta noia, una irritazione e mi domando quando mai saremo meno egoisti.