Primi «vocabodiari» Dall’esilio alla movida
QUALCUNO NEI MESI SCORSI ha parlato di «covidizionario»: due settimane fa, in questa rubrica, io avevo proposto «vocabodiario». Una raccolta di parole legate alla propria esperienza personale durante il periodo più duro di questa pandemia. (Non a tutti la parola è piaciuta: Leonardo, ad esempio, trova il vocabolo «bruttino» e propone di rimando «il lemma pensiario»).
«Questo è il mio “vocabodiario”, che tengo dall’inizio e aggiorno ogni settimana», scrive Angela su Facebook. L’elenco è lungo: più di duecento parole, a volte sigle a volte nomi, che a rileggerle oggi rievocano – in ordine cronologico – l’atmosfera di quei giorni difficili. Le prime sono «immunità, virus, Cina, pipistrello, Covid-19, esperti, paziente zero»; tra le ultime c’è movida, una delle tante parole di cui quest’esperienza sta modificando il significato. «A partire dagli anni Novanta», ricorda Maria Vittoria D’Onghia in un recente articolo nel portale Treccani, «indicava il viavai a ridosso di discoteche, pub e club; oggi è quasi sinonimo di assembramento in piazze, parchi o siti di interesse».
Fanno parte dell’elenco anche le tante parole ed espressioni usate in quei giorni che, metaforicamente, alludevano a una guerra: prima linea, eroi, trincea … Proprio a quest’uso – o abuso – si riferisce il contributo di Alberto, che
ALCUNI DI VOI PREFERISCONO "COVIDIZIONARIO" O "PENSIARIO". LA PRIORITÀ ORA È DEFINIRE LA FASE 3. PARTENDO DA "NOI"
E invece è interessante il diario che ci ha mandato Edoardo, in cui lockdown è reso con esilio: «Giorno 2 di esilio. La prima giornata di smartworking è andata, ma se non hai un working è difficile essere smart». Dal 3 marzo al 3 maggio («È solo Vita»), 57 giorni in cui le parole hanno scandito l’eco delle nostre paure e delle nostre speranze. Fase per fase: dalla uno alla due alla tre, quella che ora stiamo vivendo; ma anche frase per frase. Spiccano, in effetti, alcune delle frasi che più di tutte le altre hanno segnato lo scorrere degli ultimi mesi. La prima è quell’#iorestoacasa lanciata dal presidente del Consiglio nella drammatica conferenza stampa del 9 marzo: «Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l’espressione “io resto a casa”». La seconda quell’#andràtuttobene che, partita stavolta dal basso, ha dato colore e calore al senso di comunità e condivisione di quei giorni così duri. Ora ci vorrebbe una terza frase per la terza fase. Una frase che riesca a rendere il senso di una ricostruzione, di una ripartenza (per dirla in termini calcistici alla Arrigo Sacchi) in grado di sprigionare una nuova energia collettiva. Una frase che stavolta abbia come soggetto noi.