«HO STUDIATO FREUD, MA NON SONO MAI STATO IN ANALISI LA SOLITUDINE MI HA LEGATO DI PIÙ ALLE MIE FIGLIE»
L’obbiettivo della macchina da presa lo percorre, incedendo inesorabile. Il corridoio, specchio di angosce e ossessioni, quelle di Dario Argento. «Riflette le mie paure di bimbo. Accadeva la sera, quando dopo aver mangiato, tornavo nella mia stanza», svela il regista. Quel corridoio, dalle pareti soffocanti o piene di quadri e finestre, poi è divenuto la cifra stilistica dei suoi film cult. Con le scale. «Sono simboli potenti e Freud insegna. In questi anni l’ho studiato. Mi ci sono immerso. Aperti orizzonti. La sua psicanalisi? Rivoluzionaria: stravolto il punto di vista di arti e artisti». Con gran enfasi Argento cita il suo idolo. Ribatte. «Però non sono mai stato in analisi».
Le stesse paure del regista magister dell’horror nel tempo sono divenute le nostre. Film dopo film: L’uccello dalle piume di cristallo (il debutto, nel 1970) e Profondo rosso, Suspiria, Inferno e La sindrome di Stendhal. E sempre ecco corridoi e scale. Entrambi passaggi ad altre dimensioni. Sempre inattese. Come quella in cui siamo stati segregati in questi mesi di lockdown. Spiazzante, il cineasta rivela: «La pandemia e l’isolamento mi hanno fatto riscoprire la gioia della solitudine. La totale tranquillità», dice con voce distesa dal telefono della casa romana dove si è rinchiuso. «Isolamento per paura del contagio? Certo. Solo perché alla mia età non posso rischiare di ammalarmi. Il set del nuovo film mi aspetta»: classe 1940, il prossimo 7 settembre festeggerà 80 anni. Potrebbe farlo proprio col primo ciak di Occhiali neri, titolo della nuova pellicola. Durante questo periodo di lockdown, il cineasta ha lavorato di bulino su sceneggiatura e sfumature dei personaggi. Riflettuto sulle musiche, nodali nei suoi film: Goblin & Profondo rosso citazione d’obbligo. E ora? «Il gruppo francese dei Daft Punk mi ha contattato. Ma nulla è ancora definito».
L’isolamento per il regista è da sempre la migliore dimensione creativa. «Modo e metodo con cui scrivo le sceneggiature: rinchiuso per settimane in una stanza. Un alberghetto come un hotel di lusso. Una villa: magari abbandonata, senza luce e acqua»: quella fuori Roma dove ha concepito Profondo rosso. «Inizio la mattina presto e finisco la sera tardi. Rigoroso come se fossi in ufficio. Penso e scrivo. Ripenso e riscrivo. Questa però è la prima volta in casa mia. Ho illustri predecessori: pensi a Boccaccio e al Decameron. Non è stato il primo caso di lockdown creativo?». Nel Trecento la peste, ora il coronavirus. Oggi come allora? «In questo periodo c’è stata una recrudescenza di paure medievali. Come allora ci si è dovuti confrontare con qualcosa di ancestrale. Ha scatenato una sorta di caccia alle streghe. Il virus qualcosa di poco comprensibile da distruggere. Non ha contorni definiti. La reazione attuale, come liberatoria, è molto pericolosa». Argomento per una nuova sceneggiatura? «Pandemie, malattie, virus? Non mi stimolano. Le “malattie” della psiche, quelle sì che mi affascinano. Come le mie paure. Vi convivo da sempre. E mi forniscono spunti. Dialogo con il mio lato oscuro: si trasforma poi nel mio punto di vista».
Quello celato dagli Occhiali neri parte in realtà dal paradigma del non poter vedere. La protagonista Diana è una ragazza che perde la vista ed ha poi in un bimbo cinese di nome In la sua guida. «Ci avevo pensato prima del Covid-19:
il popolo cinese mi affascina, così evoluto. Mi è risultato ancor più evidente con i sopralluoghi per gli esterni all’Esquilino, la Chinatown romana. Palazzoni con corridoi e scale anche lì», per non smentirsi. Le riprese, auspica, dovrebbero iniziare dopo l’estate. «Sul set ci sono minimo 120 persone: in questa situazione è complicato. Massima deve essere la sicurezza. Pensi a Sépulveda... Ci ha lasciato. Non ce lo saremmo mai aspettati. E poi, se non inizio a girare con le belle giornate, non ci riesco. Il brutto tempo mi deprime. Non riesco a dare il meglio». Diana è il nome della protagonista, interpretata da Stacy
«Pandemie e virus? Non mi stimolano una sceneggiatura. Le malattie della psiche, quelle sì, mi affascinano. Come le mie paure, il mio lato oscuro. Asia doveva recitare nella mia nuova pellicola, ma non c’è un ruolo adatto a lei»
ricevuto nel 2019 come premio “speciale”. «Mi ha fatto ricordare solo le tante irritazioni. Magari un Palmares a Cannes o un Oscar? Cosa ne pensa?». Li meriterebbe. Anche per la capacità di illuminare il nostro lato oscuro. Quello più seducente. Persino la moda gli ha reso omaggio. Massimo Giorgetti, direttore creativo di Msgm, ha dedicato al regista ben due collezioni. L’idea di collaborare con lo stilista per i look del nuovo film non gli dispiacerebbe. Un film sulla moda? Anche lì di coltelli. «La moda è sempre presente nei mie film. Gli abiti dei miei personaggi li rappresentano, non sono solo scelte di estetica». Rivelano anche il lato oscuro. Come accade anche nella nostra quotidianità.