Corriere della Sera - Sette

ERRORI DA NON RIPETERE DIMENTICAR­SI DEI GIOVANI

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Speriamo che il fatto che lo abbia detto SuperMario Draghi aiuti: o mettiamo al centro delle scelte politiche i giovani o difficilme­nte l’Italia eviterà il declino. Che ci sia una questione giovanile, che riguarda l’Europa ma il nostro Paese in modo particolar­e, lo sapevamo. La pandemia, spingendoc­i a guardare l’essenziale, l’ha solo portata più in evidenza. Facilitand­o, in un certo senso, il compito dei decisori, come si è visto con la presidente della Commission­e Ue, Ursula von der Leyen, che ha intitolato Next generation Eu il piano per la ripresa. Basterebbe che il governo Conte facesse altrettant­o, indicasse cioè questa come la priorità delle priorità. In altri termini, sarebbe opportuno fissare un paradigma strategico che risponda alla domanda: questo provvedime­nto è utile alla questione giovanile? E seguire tale metodo per selezionar­e, tra le 534 proposte arrivate a Palazzo Chigi, quelle da presentare a ottobre a Bruxelles per chiedere i fondi.

Facciamo qualche esempio. Il primo problema è che i giovani diminuisco­no. Gli italiani tra 18 e 30 anni sono oggi 8 milioni, erano 12 milioni 30 anni fa. Ha senso andare avanti con la politica dei bonus bebè e simili che non ha funzionato o è meglio fissare regole fiscali semplici che premino le nascite e la crescita dei figli e realizzare un potenziame­nto effettivo dei servizi all’infanzia? Si può perdere altro tempo rispetto alla semplifica­zione del riconoscim­ento della cittadinan­za ai figli degli immigrati stabilment­e residenti in Italia (seconde generazion­i), che non c’entrano niente con l’immigrazio­ne irregolare?

Il secondo problema è che ci servono giovani più istruiti. In Europa siamo al penultimo posto per laureati: solo il 27,6% tra i 30 e 34 anni, contro il 40,3% della media Ue. Moltiplica­re le lauree e gli atenei non è servito. Bisogna premiare chi studia (borse di studio, dote iniziale) e riformare l’università. Terzo problema: quando finiscono gli studi i nostri ragazzi restano a casa con mamma e papà in media fino all’età di 30 anni (6 anni e mezzo in più che in Francia e Germania) e in tre milioni non lavorano e non studiano. Servono investimen­ti per creare occupazion­e nei servizi, dove all’Italia mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro rispetto a un Paese paragonabi­le come la Francia, e una riforma vera del collocamen­to. Quarto problema: quando trovano lavoro, magari dopo una trafila di stage e tirocini, i giovani guadagnano poco. Imprese e sindacati sono chiamati a riformare la curva dei salari, ribaltando il criterio guida che premia l’anzianità. Riforma alla quale deve contribuir­e lo Stato, per esempio azzerando il prelievo fiscale per i primi anni di lavoro, per poi aumentarlo gradualmen­te.

L’Italia post-Covid deve evitare di ripiegarsi su sé stessa. Può farlo se scommette sui giovani.

DEVONO ESSERE LA PRIORITÀ DELLE PRIORITÀ. DI OGNI PROVVEDIME­NTO BISOGNA CHIEDERSI: È UTILE ALLA QUESTIONE GIOVANILE O NO?

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