Corriere della Sera - Sette

STEFANO CECCANTI (PD) «NO, TESTO DA SCRIVERE MEGLIO»

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Il giurista e deputato dem vede una possibile violazione del diritto di opinione: «E la nostra Costituzio­ne difende la liceità di esprimere anche quelle sgradevoli. Bisogna riuscire a definire il momento in cui arrivano a legittimar­e la violenza. Facciamo uno sforzo per migliorare la norma in questo senso»

Granitiche certezze sulla norma non ce ne sono neanche nel Pd. Stefano Ceccanti, ordinario di diritto pubblico comparato e deputato dem, ha ammesso dubbi relativi alla possibile violazione del diritto di opinione contenuta nel testo del disegno di legge Zan contro omotransfo­bia e misoginia.

Quali?

«La nostra Costituzio­ne difende il diritto di esprimere opinioni sgradevoli». Sgradevoli?

«Certo. Anche deliranti. Quelle gradevoli non hanno bisogno di essere tutelate e non ci pensa nessuno. Ma c’è un punto». Ovvero?

«Il punto è stabilire quando le opinioni legittiman­o la violenza». I fautori della legge enumerano episodi drammatici causati da questo tipo di opinioni.

«Ma occorre definire quando determinan­o la violenza». Quando?

«Se ne è molto discusso da noi e negli Stati Uniti per i reati cosiddetti di hate speech. E il limite si è stabilito nel momento in cui esiste un pericolo chiaro e presente di condurre alla violenza. I modi di scrivere una norma rimanendo entro questi binari sono tanti».

Quello attuale non va bene?

«Ci sono molti dubbi su una formulazio­ne tautologic­a. Direi partiamo da lì e facciamo uno sforzo a scriverla meglio».

Non è sufficient­e il cambiament­o al testo introdotto dall’ex forzista oggi calendiano, Enrico Costa, per evitare l’intervento dei giudici?

«L’emendament­o Costa nasceva dal tentativo di far convergere Forza Italia a favore della norma. Chiariamo un punto già con la formulazio­ne Costa, secondo me anche con quella precedente, non c’è nessun giudice che condannere­bbe qualcuno solo sulla base di un’opinione, in assenza del pericolo chiaro e presente che quella porti alla violenza. C’è molta giurisprud­enza relativa a questo dopo la legge Scelba».

Quella contro la ricostituz­ione del partito fascista? Cosa c’entra?

«I dubbi su come interpreta­rla sono stati risolti così: non basta un qualsiasi sfigato che si dichiari fascista, per far scattare la condanna. Serve la legittimaz­ione della violenza per prefigurar­e appunto la ricostituz­ione del partito fascista. Un giudice che si trovi a giudicare una materia analoga, come questa, archiviere­bbe. Il problema è un altro». Ovvero?

«I pm. Se qualcuno fa un esposto, visto che noi abbiamo l’obbligator­ietà dell’azione penale, ci può essere un pubblico ministero che il processo lo fa davvero».

In commission­e Affari Costituzio­nali avete bocciato questa norma. Perché?

«No, noi abbiamo espresso un parere che, nella sostanza, esprime questi dubbi. L’opposizion­e l’ha strumental­izzato dicendo che noi volevamo demolire la legge. In realtà noi abbiamo scritto che si deve far capire bene che, in linea di massima, l’opinione non è punibile. Eccezion fatta per quando crea un pericolo di atti di violenza».

Ma la norma è già in Aula, cosa auspica?

«Che il comitato dei 9 trovi un punto d’equilibrio. Quale sia ce lo deve dire la Commission­e giustizia». Sull’identità di genere?

Abbiamo chiesto di precisare meglio le definizion­i usate nel testo».

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Stefano Ceccanti (Pd), pisano, 59 anni, è un costituzio­nalista già senatore dal 2008 al 2013 e deputato dal 2018
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