Corriere della Sera - Sette

«PROVIAMO A NON AVERE REGOLE,

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È sopravviss­uta a quattro rivoluzion­i: dalla spedizione postale di dvd allo streaming; da contenuti vecchi a originali; dal loro acquisto alla produzione in proprio; da azienda operante negli Usa ad azienda globale. E ora Mr. Netflix vuole raccontare un’altra storia, quella della cultura aziendale che ha permesso tutto ciò. Lo fa in un libro:

che esce il 10 settembre per Garzanti. Si basa sul Netflix Culture Deck: 127 slide, inizialmen­te ad uso interno, definite da Sheryl Sandberg uno dei documenti più importanti mai usciti da Silicon Valley. La coautrice del libro, Erin Meyer, che insegna all’INSEAD, non nasconde che all’inizio le sia sembrato un modello «ipermachis­ta, eccessivam­ente conflittua­le, apertament­e aggressivo, forse il riflesso di un tipo di azienda che ci si può aspettare venga creata da un ingegnere con una visione della natura umana meccanicis­tica» (spirito critico che la dice lunga sul modo in cui Hastings recluta i collaborat­ori).

Netflix è «una squadra, non una famiglia»: cambia i «giocatori» se ne trova di migliori. Si fonda sulla «densità di talento» (lavoratori altamente performant­i, pagati «come rockstar»), sulla sincerità (dissenso costruttiv­o; trasparenz­a radicale, anche sui segreti commercial­i) e sulla libertà e responsabi­lità (nel prendersi ferie, nelle spese, nelle decisioni).

Infine, c’è il keeper test. I manager vengono incoraggia­ti a valutare regolarmen­te ogni dipendente per assicurars­i di avere la persona migliore in ogni ruolo, ponendosi questa domanda: «Se un membro del team dovesse dimettersi, cercherei di fargli cambiare idea oppure accetterei, magari con un pizzico di sollievo?» Nel secondo caso, gli si riconosce subito una buona liquidazio­ne e si cerca qualcuno per cui si è disposti a lottare. Il test andrebbe applicato anche a se stessi: «Per l’azienda sarebbe meglio che ci fosse qualcun altro nel mio ruolo?»

«Per 300 anni» ci dice Hastings via Zoom dalla stanza da letto in California» le fabbriche hanno spinto l’economia, quindi è naturale che molti pensino ancora alle organizzaz­ioni così: timbri il cartellino, lavori un certo numero di ore, compiaci il capo, prendi ordini. Una gerarchia piramidale, come la Chiesa e le Forze armate. Ma non è il sistema migliore per un’azienda flessibile e creativa, che dovrebbe allontanar­si dalla mentalità industrial­e e provare a non avere regole».

Il libro è scritto come un manua

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