A studio o a scuola, poi si va all’università
Caro professore sono in gravi ambasce! A
Siena in collegio da ragazzina ci dicevano sempre: «Signorine, presto, a studio!» e noi dicevamo sempre: «Andiamo a studio, vado a studio, entro a studio e trovo tutte chine sui libri...». Ora mi si dice che devo dire e scrivere «Vado allo studio» oppure «Vado in studio», ma mi pare tanto strano. Mi può risolvere il problema? Grazie mille!
Francesca Farina
via Facebook
CREDO CHE IL PROBLEMA sia nella pluralità di significati che la parola studio può avere. Nelle parlate toscane si è sempre usata – fin dal Medioevo – l’espressione andare a studio. Già Bernardino da Siena poteva dire: «Hai tu a memoria di colui che voleva andare a studio?». Come spiega il Vocabolario della Crusca nell’edizione curata ai primi dell’Ottocento dal padre Cesari, caposcuola del purismo: «Andare a studio, o in istudio» significava «Andare ad alcuna Università, o luogo, dove si tenga studio pubblico, a oggetto di studiare». Studio, o latinamente studium, era infatti il nome dato alle università o più genericamente – come spiega già la prima edizione di quel Vocabolario (1612) – «per iscuola, e luogo dove si studia». Come scrive nel Settecento il commediografo fiorentino Giovan Battista
Quale è stato l’errore di Edipo allora? Forse quello di Aristotele.
Tutta la filosofia di Aristotele poggia su una tesi di fondo, la teoria della sostanza individuale: la realtà è composta di enti individuali, fatti di materia e forma, determinati e distinti gli uni dagli altri. Difficile negare che abbiano un fondo di verità queste teorie, che non a caso si sono imposte nella storia del pensiero occidentale. Ma davvero questa immagine di una realtà composta di entità irrelate e discrete riesce a descrivere la complessità in cui siamo immersi? Davvero ha senso parlare nei termini di opposizioni così nette? Quello che stiamo imparando oggi è forse proprio la necessità di andare oltre questa logica binaria. Il problema non è pensare alla natura come se fosse benevola, malevola o indifferente. Il problema è che pensiamo alla natura, alle cose naturali come se fossero altro da noi. Ma non è vero piuttosto il contrario, nel senso che tutto è in qualche modo interrelato con tutto e con tutto interagisce modificandosi? Non ci sono limiti netti, in altre parole. Non esiste un soggetto indipendente; noi siamo il risultato delle nostre interazioni con ciò che ci circonda. Vale per noi, vale per l’ambiente che ci circonda. È una delle tante lezioni del Covid-19: il virus non è spuntato fuori dal nulla, bensì da interventi sempre più invasivi sull’ambiente, dalla deforestazione all’immissione sui mercati di animali selvaggi. Di fatto lo abbiamo stanato noi, modificando il nostro rapporto con la realtà che ci circonda. La contrapposizione in termini binari tra noi e la natura, sia essa benevola o malevola o indifferente, non spiega nulla. La sfida è allora quella di pensare per relazioni, imparando a costruire strutture d’equilibrio, evitando di cadere nell’errore di Edipo, che «fu l’uomo più potente».