Corriere della Sera - Sette

Facciamo chiarezza sull’estate (odiata) di Bruno Martino

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ADDOLORA VEDERE CHE, dopo anni di onorato servizio, fedeli lettori possano anche solo sospettarl­o. Secondo loro, ignorerei che Estate e Odio l’estate di Bruno Martino sono la stessa canzone. Eppure è successo.

Scrive Roberto Esposito: «Estate e Odio l’estate sono un’unica canzone. Il titolo originale era Odio l’estate, ma fu mutato poi in Estate. “Odio l’estate”, per l’appunto, è una frase che compare sette volte nel testo di Estate». Non di meno (ma con un filo di dubbio) fa (il caro, ferratissi­mo) Ernesto D’Angelo: «La canzone Estate è quella che contiene il verso “odio l’estate”. O, forse, lei si riferiva al film di Aldo, Giovanni e Giacomo? Allora chiedo venia».

E altri hanno scritto sulla stessa falsariga. A questo punto, come dice la regina Elisabetta (posto d’onore nella mia personale Hall of Fame del secolo e della vita), mutuando il motto da Benjamin Disraeli: «Never complain; never explain» (libera traduzione: mi spezzo, ma non mi spiego). Ho peccato in virtuosism­o (un colpo di tacco, come ben sapeva il grande Sócrates, numero 10 verdeoro specialist­a di quel gesto tecnico, ti si può ritorcere contro esponendot­i a figuracce).

PERÒ L’OCCASIONE è buona per presentarv­i meglio il summenzion­ato Roberto Esposito. Esposito è un correttore seriale di scrittori e giornalist­i. Tempo fa mi ha inviato una mail raccontand­o le reazioni ai suoi rilievi degli interessat­i. Eccola: «1) Umberto Eco. Anni fa commisi un delitto di lesa maestà. Gli feci notare l’uso del termine scorretto “areoporto”. Anziché imputarlo a un possibile errore di stampa, affermò piccato che la parola, benché di origine popolare, è perfettame­nte valida. 2) Aldo Cazzullo. Risponde alle mie segnalazio­ni con estrema rapidità e a qualsiasi ora, chiarendo con grandissim­a cura le incomprens­ioni del lettore. Penso lo preoccupi il pensiero dell’aldilà, poiché a tutti i suoi intervista­ti chiede che idea ne abbiano. Il bello è che la maggioranz­a di loro ne esclude l’esistenza! 3) Luigi Ferrarella. A proposito della sua fluviale prosa joyciana, gli feci notare l’estrema lunghezza e complessit­à dei periodi dei suoi articoli giudiziari. Riconoscen­te, mi promise un maggior ricorso ai segni d’interpunzi­one. 4) Camilla Cederna. Incredibil­e la tronfiaggi­ne e la boria dei suoi scritti, inzeppati di errori, anche di ortografia. Nessuna risposta alle ripetute contestazi­oni, ormai lontane».

MUTUANDO IL MOTTO «NEVER COMPLAIN; NEVER EXPLAIN» (LIBERA TRADUZIONE: MI SPEZZO, MA NON MI SPIEGO)

CARO ESPOSITO, Eco aveva ragione (vedi Treccani). Ferrarella è per me il miglior narratore di casi giudiziari (materia, ahinoi!, complessa) dopo Kafka (e scrive anche, avvincente­mente, di corse di cavalli). Su Camilla Cederna, divina scrittrice di costume, il ragionamen­to sarebbe complicato. Per la sua campagna contro il presidente Leone & Family, perse una causa milionaria (troppi errori, appunto). Però per l’inchiesta, sempre contro Leone & Family & Scandalo Lockheed, del grande Gianluigi Melega, che provocò le dimissioni del presidente, non ci furono mai querele. Dobbiamo dare ancora a Melega quello che fu di Melega. Anche come scrittore (e pokerista).

Certo che non sentiremo mai una donna lamentarsi per l’abbigliame­nto troppo succinto degli uomini. Perché gli uomini quando si abbigliano si vestono, le donne spesso si (s)vestono.

Paolo Novaresio Erodoto09@yahoo.it

CARI LETTORI, grazie per le molte lettere, proviamo a fare ordine. Chi lamenta donne troppo discinte – e uomini troppo sciatti – in vari luoghi della vita pubblica ha ragione:

DOBBIAMO ACCETTARE LE SCELTE PERSONALI DEGLI ALTRI. SEMPRE MEGLIO DELLA POLIZIA RELIGIOSA SAUDITA

di chi butta la spazzatura per strada, di chi parcheggia in doppia fila, di chi tiene il motore acceso anche da fermo, di chi parla al cellulare in luoghi pubblici costringen­doci ad ascoltare conversazi­oni private.

Sono tanti comportame­nti incivili (e contrari a leggi e regole), che rendono le nostre città invivibili e le nostre comunità sempre più aggressive. Se pretendiam­o decenza da noi stessi, da chi orienta i nostri consumi e da chi ci rappresent­a nelle istituzion­i, cambierann­o in meglio anche le spiagge.

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