IL MACELLAIO DI PLAINFIELD CHI ERA L’UOMO CHE ISPIRÒ PSYCHO
«Quando vedo una bella ragazza penso due cose. Una parte di me vuole parlare con lei, essere gentile. L’altra immagina come sarebbe la sua testa infilzata su un bastone».
Nel romanzo American Psycho di Bret Easton Ellis, il protagonista Patrick Bateman attribuisce questa frase al Macellaio di Plainfield. Ma è un errore: è di un altro mostro, Edmund Kemper, il killer delle studentesse. L’errore però è giustificato dal fatto che il Macellaio, al secolo Edward “Ed” Gein, decapitava davvero le sue vittime e con le parti smembrate dei loro corpi ci arredava casa.
Negli ultimi 50 anni, le gesta orripilanti di Gein sono state ispirazione per molti squilibrati che hanno ricalcato le sue orme lungo le strade insanguinate dell’America. La figura del Macellaio è alla base anche di romanzi e film dell’orrore: c’è lui dietro al personaggio di Hannibal Lecter, che ha il volto di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti. Perché la perversione assassina di Ed Gein ha superato in mostruosità quella di qualsiasi altro serial killer. Gein sceglieva le sue vittime come noi scegliamo la stoffa per un abito. E con la stessa cura, con la loro pelle, cuciva paralumi, tende e i suoi stessi abiti.
Ed Gein nasce nel 1906 in una fattoria di 155 acri, sperduta nella distesa di campi attorno alla città di Plainfield, nel Wisconsin, dove la monotonia dell’orizzonte è rotta solo da qualche raro silos o dal tetto rosso di un fienile. Come in molte biografie di mostri, anche la famiglia Gein presenta quell’amalgama di violenza e ossessioni religiose che sembra essere il terreno più fertile dove far crescere una malabestia. Il padre, George, è un alcolizzato che alza le mani sui figli; la madre, Augusta, una donna autoritaria e incline al fondamentalismo cristiano. È lei a instillare nel figlio la paura delle donne e l’idea che il sesso è strumento del demonio. A Ed e al fratello Henry viene vietato di frequentare altri bambini. Per loro esiste solo la madre e il suo mondo claustrofobico.
Una macchia di sangue in un negozio deserto: finisce qui la catena dell’orrore innescata da Ed Gein, che uccideva per procurarsi pelle umana con la quale realizzava maschere e vestiti. Con una ossessione: riportare in scena l’adorata madre morta anni prima
Il crollo
La morte del padre per cirrosi epatica nel 1940 e quella misteriosa del fratello in un incendio, lasciano Ed quasi indifferente. Ma quando nel 1945 un infarto si porta via Augusta, per il futuro mostro, che all’epoca ha 39 anni, è un colpo tremendo dal quale non
si riprenderà. Rimasto solo nella fattoria, l’uomo decide di sbarrare ogni stanza della casa, tranne due locali al pian terreno e la camera da letto della madre, che trasforma in un santuario alla sua memoria. L’ossessione di Gein per la morte inizia così.
L’uomo manda avanti da solo la fattoria e nel tempo libero legge libri sulla tassidermia e la dissezione dei cadaveri. Sul giornale locale cerca con avidità i necrologi e durante la notte va in cerca delle tombe delle donne morte. È durante queste scorribande notturne che fa amicizia con Gus, un ragazzo con grave ritardo mentale che diventa la sua ombra. La presenza di Gus è uno sfogo, a lui racconta le sue fantasie. Ma quando il ragazzo viene internato in un manicomio, qualcosa in Gein si spezza e sulla sua vita cala una notte senza fine. I fantasmi che lo agitano fin dall’infanzia affiorano mandando in blackout l’ultimo barlume di coscienza rimastagli. Ora nel Wisconsin c’è un mostro che attende di scovare la sua prima vittima.
Ed fece amicizia con Gus, un ragazzo con un grave ritardo mentale: la notte i due andavano insieme al cimitero per dissotterrare cadaveri di donna
L’ultimo capitolo
A questo punto della storia, però, facciamo un salto in avanti. Sfogliamo velocemente il calendario e fermiamoci alla mattina del 16 novembre 1957. Nel centro di Plainfield c’è un negozio di ferramenta. A gestirlo è Bernice Worden, 58enne dalla stazza rassicurante. Bernice è precisa, apre il suo negozio sempre alla stessa ora, che splenda il sole o cada una pioggia torrenziale. Ma quella mattina il negozio è chiuso. Il figlio di Bernice allarmato entra nell’emporio e trova in mezzo alla stanza una grossa macchia di sangue. Una ricevuta sul bancone racconta che la sera prima Ed Gein ha comprato del liquido antigelo e che quella mattina è tornato per ritirarlo.
Arthur Schley, lo sceriffo di Plainfield, corre a casa di Ed. Sa che l’uomo anche se strambo non ha mai fatto male a una mosca, ma appena mette piede nella casa un odore nauseante lo proietta in un girone infernale. Le stanze al piano terra sono ingombre di immondizia, ma a sconvolgere lo sceriffo sono gli oggetti mostruosi che arredano l’abitazione: un paralume fatto con la pelle di un volto umano, ciotole ricavate da alcuni teschi, nove vagine confezionate come soprammobili, una cintura di capezzoli femminili e la testa di Bernice Worden appoggiata alla stufa. Il suo corpo viene rinvenuto in un capanno. Ciò che resta della donna è appeso per le gambe. È stata uccisa con un colpo di fucile all’interno del suo negozio. Le mutilazioni invece sono state fatte post mortem. Come dirà il medico legale, il suo corpo è stato «squartato come si fa con i cervi». L’analisi dei resti ritrovati nella casa porteranno a contare almeno 10 vittime. Arrestato, Gein confessa subito l’omicidio di Bernice e quello di Mary Hogan, scomparsa tre anni prima. Il volto di Mary è diventato una maschera che Gein indossa di notte.
Ma di chi sono gli altri resti? Gein davanti alla polizia è un fiume in piena: per la prima volta racconta il suo mondo da incubo. Dice di essersi ritrovato molte volte in stato confusionale nel cimitero di Plainfield dove ha rubato corpi o parte di essi con l’intento di cucire un abito di pelle umana (e l’ampia schiena di Bernice Worden, spiega, aveva pelle in abbondanza) che somigli a sua madre. Nel delirio della sua mente, Gein vuole riportare in vita la donna che lo ha messo al mondo. Un po’ come il protagonista di Psycho, quel Norman Bates portato alla fama da Alfred Hitchcock, e che lo scrittore Robert Bloch ha modellato proprio sulla biografia di Gein.
La follia del Macellaio di Plainfield, come lo ha battezzato la stampa, è evidente. L’uomo confessa di avere ucciso altre persone quando era più giovane e viene spedito al manicomio statale: l’obiettivo è di metterlo nelle condizioni per affrontare un processo. La sentenza alla fine certifica quello che è già evidente: Gein è incapace di intendere e volere e scampa così alla sedia elettrica. Rispedito nel manicomio, vi muore il 26 luglio 1984 all’età di 78 anni. Il suo corpo ora riposa accanto a quello della madre nel cimitero dove quarant’anni prima dissotterrava cadaveri nella speranza di trasformarsi nell’unica donna che avesse mai amato.