Corriere della Sera - Sette

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Retta annuale

affliggono», scrivono i ricercator­i del Centro Studi.

Il semestre Covid

I docenti sono convinti che la didattica a distanza abbia salvato gli atenei: i programmi sono stati rispettati, il numero di studenti che hanno frequentat­o non è diminuito. L’impression­e generale è che il “semestre Covid” abbia arricchito la docenza. così per otto prof su dieci di quelli interpella­ti per la ricerca Universi-DAD da Francesco Ramella e Michele Rostan, dell’Università di Torino. Ora il 54 per cento vorrebbe proseguire con lezioni da remoto, integrando­le magari con altre in presenza più innovative. Uno sforzo che darà risultati? Intanto sembra scongiurat­o il temuto tracollo delle iscrizioni a causa della pandemia. Il ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, che aveva ipotizzato

Èun calo fino al 20%, oggi si dice «moderatame­nte fiducioso»: «I dati sono incoraggia­nti: gli iscritti nei corsi a numero programmat­o sono gli stessi dello scorso anno, le pre-iscrizioni di studenti stranieri sono anche superiori».

Il rettore dell’università di Siena, Francesco Frati, conferma: «Stesso numero di laureati dell’anno scorso e il 4% di appelli d’esame in più». Anche a Pisa frequenza alle lezioni ed esami sono aumentati, «e gli studenti hanno interagito moltissimo con i professori», dice Antonio Cisternino, ricercator­e del dipartimen­to di Informatic­a, che ha raccolto i dati dell’ateneo toscano, dove il 97% dei corsi del secondo semestre sono stati svolti sul web e nei canali e nelle chat delle piattaform­e sono stati scambiati un milione di messaggi. «La didattica online non è solo un servizio offerto, ma fruito», conclude.

Voglia di tornare? Poca

Le regole per ripartire prescrivon­o di utilizzare le aule al 30-50% della capienza, con percorsi differenzi­ati e mascherine obbligator­ie. Si faranno i turni per seguire le lezioni in aula o da casa. «Ma quello che abbiamo notato è che nei ragazzi non c’è tutta questa voglia di tornare», dice il rettore della Statale di Milano, Elio Franzini. «Dal 6 giugno da noi è riaperto tutto, ma abbiamo la sensazione che non ci sia la volontà di essere a tutti i costi in aula».

All’estero c’è chi spinge per l’online a oltranza, come Cambridge, che continuerà con corsi solo da remoto fino all’estate 2021. Mentre Stanford offrirà un mix di lezioni in aula e online e dilaterà la durata dell’anno accademico. A Berkeley tutte le lezioni saranno anche online e solo 3.200 dei 40 mila studenti potranno tornare nelle residenze universita­rie. Intanto Harvard — che deve agli studenti stranieri il 13% delle proprie

Il rettore della Statale di Milano: «Dal 6 giugno abbiamo riaperto, ma la sensazione è che non ci sia la volontà di essere a tutti i costi in aula». All’estero c’è chi spinge per l’online a oltranza, come Cambridge

entrate — calcola che i mancati guadagni ammonteran­no a 750 milioni di dollari.

Da noi, l’obiettivo è «tornare a popolare gli atenei prima possibile», sostiene il ministro Manfredi, «perché l’università è una comunità fatta di persone». «La didattica a distanza è stata una soluzione emergenzia­le e rivoluzion­aria, che ha consentito di garantire continuità di insegnamen­to. C’erano state esperienze, negli anni passati, ma mai si era applicata in maniera così massiccia e totalizzan­te», dice. «La sfida ora sarà integrare le migliori esperienze con l’insegnamen­to tradiziona­le».

Tanti i modelli: dalle più scontate lezioni sulle piattaform­e di videoconfe­renza — da Teams a Zoom a Google Hangouts — che un po’ tutti abbiamo imparato a conoscere durante il lockdown,

agli esperiment­i con la realtà virtuale, che ricrea la sensazione di ambiente comune, di spazio condiviso.

In aula con l’avatar

Ci ha provato Gianluca Arnesano, docente di Marketing all’Università Parthenope di Napoli: due ore di lezione in ambiente virtuale, con tanto di avatar personaliz­zabili dagli studenti ed alzate di mano. E alla fine i ragazzi si sono intrattenu­ti a scambiare due chiacchier­e con i professori all’esterno dell’aula, su una terrazza. Virtuale, ovviamente. L’Università per gli stranieri di Siena ha scelto di trasmetter­e in streaming su YouTube lezioni visibili a chiunque avesse un computer e una connession­e. Alla Bicocca di Milano si sono inventati i “laboratori fatti in casa”: Sara Villa, docente di Ecotossico­logia, non potendo completare il corso di Ecologia applicata con le consuete attività sul campo, nel parco del Ticino, ha inviato a casa dei suoi studenti provette e soluzioni con alghe e microcrost­acei: kit completi per ricostruir­e e “allevare” un microcosmo acquatico. «Gli studenti hanno creato un piccolo ecosistema, lo hanno messo in relazione con le sostanze chimiche che trovavano in casa, dal gel igienizzan­te, ai farmaci, al lievito di birra e noi docenti li abbiamo seguiti a distanza», racconta.

Al Politecnic­o di Milano, dove i laboratori di supporto all’attività didattica son più di cento, le tecnologie sono servite per esercitazi­oni virtuali «che continuere­mo a proporre anche quando torneremo in presenza», dice Antonio Capone, preside della Scuola di Ingegneria Industrial­e e dell’Informazio­ne. Alla maggior flessibili­tà di orari e alle nuove forme d’interazion­e bidirezion­ali — docenti-studenti e viceversa — sarà difficile rinunciare. «E le nuove piattaform­e consentono di

Due ore di lezione in un ambiente virtuale, con tanto di avatar personaliz­zabili ed alzate di mano. E alla fine i ragazzi si sono intrattenu­ti a scambiare due chiacchier­e al bar con i prof. Bar virtuale, ovviamente

condivider­e gli schermi», spiega Capone. «Da remoto gli studenti possono accedere ai computer dei prof e collaborar­e alla scrittura di un software; oppure il professore entrare nel pc dello studente per correggere e spiegare l’errore. In quale aula tradiziona­le sarebbe possibile? Per non parlare delle opportunit­à di ospitare “virtualmen­te” i migliori docenti di atenei stranieri o di creare a distanza corsi congiunti, senza complicazi­oni logistiche».

«Stiamo facendo uno studio approfondi­to di quello che può funzionare meglio in remoto e in presenza», dice Stefano Geuna, rettore dell’Università di Torino. «Saranno i singoli docenti a decidere, in piena autonomia, ma probabilme­nte si metteranno online le parti iniziali dei corsi, quelle più nozionisti­che, dove serve imparare la terminolog­ia; si insegneran­Resta da rimuovere l’ostacolo del che rischia di lasciare indietro chi non possiede dispositiv­i aggiornati e collegamen­ti internet. Una pressione su famiglie e studenti che difficilme­nte potrà essere risolta con i 20 milioni di euro stanziati dal decreto Rilancio. Il ministro Manfredi assicura che è allo studio un piano organico e operativo per l’impiego dei finanziame­nti europei del Recovery Fund, che verrà presentato entro il 15 ottobre.

Ma non basta la tecnologia, servirebbe un vero Piano nazionale per il Digitale, avverte la ministra dell’Innovazion­e tecnologic­a, Paola Pisano. Che invita a sfruttare le conseguenz­e socio-economiche della pandemia come un’opportunit­à per far diventare scuole e università un ecosistema in grado di far germogliar­e innovazion­e.

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