Avete figli adolescenti? Fate il test delle 5 C
C’è sempre un momento, e spesso corrisponde con l’inizio di un ciclo scolastico, in cui ti accorgi che i tuoi figli non saranno come te li aspettavi, e forse nemmeno come speravi. Arriva inesorabile, e ciò nonostante sempre inaspettato. L’unica incertezza è quando. Successe a mio padre quando io avevo 14 anni e a me da padre quando mia figlia ne aveva 13. Mi sta ricapitando adesso che gli ultimi arrivati
hanno appena fatto gli 11. L’età si abbassa.
La rivelazione che sono diversi da noi è un duro colpo. Sembra un tradimento. Non c’è alcuna ragione per cui non debbano avere il nostro carattere, i nostri gusti, i nostri interessi. Perché non amano conversare a tavola come noi? Perché non sono razionali come avremmo sperato? Perché non leggono i classici dell’infanzia di cui abbiamo riempito gli scaffali della cameretta, e in particolare ragazzi della via Pal, che io adoravo?
La prima reazione, che non passa tanto presto, è di rabbia e risentimento. E non è solo orgoglio ferito. È che siamo assolutamente certi che se la caveranno male nella vita se non sono come noi: disprezzare la nostra esperienza, che è lì, a loro disposizione, gratuitamente e amorevolmente offerta, si rivelerà senza dubbio un errore, e in nessun modo potranno avere una buona vita se non assomiglierà alla nostra.
Vengono così mesi difficili. Di tensione. Loro sanno di dispiacerti, e per reazione provano a dispiacerti di più. È il loro modo di chiedere amore, e comprensione. Finché capisci. Che è giunta l’ora
Idi lasciarli andare. Certo, devi esserci sempre, accompagnarli, consigliarli. Il lavoro di padre è ben lungi dall’essere finito e probabilmente non finirà mai, come il libretto degli assegni. Ma il paternalismo quello sì, deve finire. Finché continui a ripetere “lo dico per il tuo bene”, loro tradurranno con un “non mi fido di te perché non sei bravo quanto me”, e le cose allora sì che andranno male. Sarebbe il momento di rileggere quella poesia di Khalil Gibran, quella che dice che i nostri figli non sono nostri, vengono attraverso di noi ma non da noi, che possiamo ospitare i loro corpi ma non le loro anime, possiamo tentare di essere simili a loro, ma non di farli simili a noi.
Intendiamoci, sono cose che sapevo, come ogni genitore. Ma le avevo dimenticate. Finché non ho letto, nel rapporto sui giovani 2020 dell’Istituto Toniolo, l’indice di “sviluppo positivo degli adolescenti” di Roth e Brooks-Gunn. Dice che per valutare un ragazzo bisogna guardare alle cinque C: quante “Competence” hanno per riuscire a scuola e piacere agli altri; quanta “Confidence”, fiducia in sé stessi; che grado di “Connection”, cioè di relazioni, con famiglie, coetanei e comunità; come è il “Character”, la capacità di rispettare norme e valori sociali, il senso di responsabilità; e infine se sono abbastanza “Caring” e “Compassionate”, per comprendere e assumere la prospettiva e il punto di vista degli altri. Ho fatto un po’ di conti e ho concluso che i miei piccoli superano la sufficienza in quattro C su cinque, e mi sono rilassato. La mia prima figlia, ormai grande, ce l’ha già fatta; forse possono farcela anche loro, così come sono. Buone scuole medie.
CARTA D’IDENTITÀ
Virginia Raffaele e le sue mille trasformazioni. La più complicata?«Carla Fracci, c’è un bel lavoro di colla, phon e cipria. Tre ore e mezzo». Durante il lockdown «non mi veniva più da ridere, era una dimensione talmente totalizzante che mi ha chiusa in una riflessione romantica». Progetti? Fare l’attrice, non comica. «Ho scritto a Garrone: non mi ha mai risposto»