CELESTE MARCUS
Era l’ottobre 2017: all’inizio del mese due articoli dettagliati, pubblicati uno sul New York Times e l’altro sul New Yorker, avevano denunciato le violenze commesse dal produttore cinematografico Harvey Weinstein. Leon Wieseltier — dopo 32 anni come caporedattore culturale della rivista New Republic (da cui si dimise nel 2014 per un contrasto con l’editore, il cofondatore di Facebook Chris Hughes) — all’epoca ricopriva tre incarichi importanti, a Washington DC. Era membro anziano del think tank Brookings Institution, collaborava con la rivista Atlantic e stava lavorando al lancio di un nuovo magazine, Idea, sovvenzionato da Laurene Powell Jobs (la vedova del cofondatore di Apple Steve Jobs). Gli occhi dell’intero mondo giornalistico erano puntati su di lui. Finì tutto all’improvviso, quando la stampa riferì i racconti di colleghe che accusavano Wieseltier di molestie: flirt e contatti fisici inopportuni, commenti allusivi sui vestiti delle donne, un bacio indesiderato. Il neonato movimento #MeToo non gli lasciò scampo. Era uno degli intellettuali più potenti degli States, soprattutto nell’ambiente ebraico (i suoi genitori, polacchi, erano sopravvissuti all’Olocausto e lui aveva frequentato una scuola ortodossa a Brooklyn). All’improvviso si ritrovò a essere trattato come un paria. Laurene Powell Jobs mise Idea in stand-by (da allora il progetto non è ripartito). L’Atlantic e la Brookings Institution tagliarono i rapporti con lui.
Tre anni dopo, Wieseltier è alle prese con il divorzio dalla seconda moglie, da cui ha avuto un figlio, Matthew. E grazie alla fiducia e ai soldi del 91enne Alfred Moses (avvocato e diplomatico che ha definito l’ex firma di New Republic «il mio compagno di sinagoga») è al timone di un nuovo giornale. È un quadrimestrale intitolato Liberties che ha lo scopo di «riabilitare il liberalismo». Il primo numero uscirà a metà ottobre e avrà 420 pagine senza foto né pubblicità, con un prezzo di 18,95 dollari. Fra i temi affrontati ci saranno il cambiamento climatico, la crisi degli oppioidi e la natura della letteratura e della politica. Un ruolo fondamentale in questo progetto lo ha Celeste Marcus, 24 anni, che Wieseltier ha voluto come caporedattrice (la redazione è formata da loro due e da uno staff di collaboratori).
La ricerca della verità
Tre anni sono pochi per dare una seconda possibilità a chi ha ricevuto accuse come quelle rivolte al 68enne? Come ci si può riabilitare, con quali parole e regole? Wieseltier meritava di essere travolto? O la forza del #MeToo americano, in questo caso particolare, non ha permesso un confronto aperto tra le parti? Sono queste alcune delle domande innescate dal caso Wieseltier. Per provare a rispondere ne abbiamo parlato con Marcus, la persona che è sua alleata strategica nella ripartenza. «Non appena ho saputo delle accuse ho provato rabbia. Ero sconvolta. Nel periodo dell’università, mentre ero all’estero, ho subito un abuso sessuale», commenta a 7. «Pensare che qualcuno di cui mi fidavo potesse aver fatto qualcosa del genere mi faceva imbestialire». La ragazza, che lavorava con Wieseltier già da qualche anno, gli chiese di spiegarle cosa fosse successo. Ma soprattutto iniziò a parlare con le persone che avevano lavorato con lui. «Nel primo numero di Liberties c’è un saggio della critica letteraria Helen Vendler sulla poesia The Second Coming di W. B. Yeats.
Nel 2017 Leon Wieseltier stava per lanciare una rivista attesissima nel mondo intellettuale americano, con il sostegno della vedova Jobs. Poi contro di lui arrivarono le denunce di alcune giornaliste. Ora un nuovo progetto con una vice di 24 anni. A lei la parola su quanto è accaduto: «Ho indagato da sola. C’è un’altra versione dei fatti»
Tutti conoscono a memoria un verso, “Things fall apart, the centre cannot hold”. Ma il significato della poesia è diverso da quello che traspare da questo verso», spiega Marcus. Ogni cosa crolla, il centro non può reggere...
«Nello stesso modo, volevo capire quale fosse la storia nella sua interezza. Se non fossi arrivata alla conclusione che Leon non è come è stato descritto non sarei qui adesso». Marcus si definisce femminista e pensa che il movimento #MeToo abbia rappresentato una svolta storica negli Usa, sebbene ne sottolinei la complessità. Dice di avere avuto tre mentori nella sua vita, tutte e tre donne: una professoressa di inglese, una professoressa di latino e una donna co
che nulla li rendeva più felici di avere conversazioni con me sul vero significato delle cose. Grazie a loro mi sono sentita come se non ci fosse nulla che non potessi chiedere. E questo spirito è lo stesso che muove Liberties».
La forza della competenza Terzogenita di due avvocati ebrei, cresciuta con «un sacco di animali», la prima parte della vita di Marcus si è svolta nella comunità ebraica di Philadelphia, Pennsylvania. Ha frequentato scuole religiose e per un anno ha studiato in un istituto in Israele. Quindi si è iscritta alla facoltà di Storia intellettuale della University of Pennsylvania. Durante il primo anno ha dato vita a un giornale interuniversitario, OR: A Journal of Judaism,
Philosophy, Politics, and Culture. «Non avevo chiaro di voler fare la giornalista», spiega la 24enne, che tra le altre cose si è occupata di arte moderna all’Israel Museum di Gerusalemme (dove ha trascorso un semestre al secondo anno di università) e di educazione locale e ha lavorato come assistente di ricerca per l’editorialista del New York Times David Brooks. «Ho sempre provato interesse per la cultura e la politica e volevo diventare parte di qualsiasi progetto che mi permettesse di confrontarmi su questi temi. Credo sia per questo che sono stata così fortunata con i lavori che ho ottenuto: per me non si tratta di voler essere un certo tipo di persona, ma di volermi relazionare con chi ha interessi simili ai miei. Ho creato OR (“luce” in ebraico, ndr) per avere un posto dove altri studenti potessero pensare ad alta voce cose a cui tutti tenevamo». Marcus, che ha diretto la pubblicazione per due anni e mezzo, decise di dare vita a un comitato consultivo formato da personaggi illustri, ai quali i redattori e i collaboratori di OR potessero fare riferimento in caso di dubbi. Scrisse a una decina di persone, tra cui Wieseltier. Non lo conosceva, ma pensava che sarebbe stato adatto a quel ruolo. «Con mia sorpresa disse di sì. Ancora oggi mi chiedo perché. Forse percepì dalla mia email qual era la mia intenzione, che è poi quello che facciamo ora: lasciare che le persone parlino con le loro voci su ciò che le affascinano e le sconcertano», ipotizza Marcus. E Wieseltier si rivelò davvero utilissimo come membro del comitato. Fra i due si creò una bella intesa, tanto che quando il 68enne stava preparando il lancio di Idea Marcus lavorava al suo fianco come assistente di ricerca per un’antologia sul suo lavoro.
Qualcuno probabilmente si domanderà perché Wieseltier abbia scelto lei come numero 2 del progetto che incarna la sua possibilità di redenzione. Celeste Marcus non ha dubbi. «Perché sono competente. Sono brava nel mio lavoro e ne sono fiera. E grazie alla mia età ho una prospettiva diversa dagli altri: Liberties è un progetto multigenerazionale. Il mio obiettivo è anche quello di scovare giovani talenti. Chi saranno i nostri lettori? Chiunque voglia confrontarsi con menti illuminate e diverse fra loro».
«All’università ho subito un abuso, quindi l’idea che una persona di cui mi fidavo potesse aver molestato altre donne mi faceva impazzire. Il movimento #MeToo è fondamentale, storico. Ma io sono stata educata a non rinunciare ai miei dubbi»