Corriere della Sera - Sette

IMMAGINARI­O, PREPARAVO LA CENA»

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lare con uno dicendo “Ma è tutto a posto?” le è stato risposto “Sì, è una fase importante”. E altra fortuna ha voluto che io andassi poi all’asilo e trovassi un poverino che si chiamava Marco per cui le due dimensioni si sono riunite in una sola».

Come Harvey di James Stewart, il coniglio bianco…

«Però nel nostro film quel personaggi­o immaginari­o, forse immaginari­o, ha anche un significat­o politico».

È un messaggio di comprensio­ne, di curiosità interiore.

«Faccio parte di quella generazion­e che era bambina, allora. Ma c’eravamo. Quello che le generazion­i precedenti non accettano sia vero. Mi dispiace, ma noi c’eravamo. Ci mettevamo le borse di Tolfa finte, ci vestivamo andando a rubare i cimeli dagli armadi delle sorelle o dei fratelli per poter appartener­e ad un sentimento, ad un’atmosfera che non esistevano già più. Eravamo guardati come dei mascherati, degli imitatori. Io al massimo ho fatto “la pantera”, che posso aver fatto? Quando il bambino del film dice “Non mi importa chi sei”, la verità è che purtroppo o per fortuna è così. Il valore politico della storia è di oggi, non degli anni Settanta. Ma il film parla anche d’altro: della crescita di un bambino. Il suo diventare, da figlio, uomo».

I padri si uccidono?

«Dobbiamo capire cosa hanno portato quelle ideologie, quella furia generazion­ale. Parlo anche del cinema: siamo così sicuri che aver ucciso i padri sia stato un bene? Io oggi vengo dall’esperienza del film su Craxi. Mi sono chiesto: esiste una laicità di pensiero in Italia? È

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