QUANTA INTELLIGENZA C’È NELLE MACCHINE PENSANTI
suggerire interventi chiave – clinici, sociali, economici – per affrontare la pandemia. Non parliamo dunque di una vera e propria intelligenza, ma di uno strumento di supporto alle nostre decisioni. Più banalmente di algoritmi che hanno il volto dei consigli di visione/ascolto di Netflix o Spotify. Secondo Fabiana Alcaino, direttore del dipartimento AI di Vodafone Italia, «è l’ultima delle sfide che l’uomo lancia a sé stesso, come quella della conquista degli spazi». Di intelligenza artificiale si parla dalla Conferenza di Dartmouth del 1956, presa come pietra miliare del settore. Ma l’accelerazione si è avuta negli ultimi anni, per motivi tecnologici: «Solo oggi abbiamo la potenza di calcolo necessaria e una fitta rete di
Alexa, Google Assistant: nessuno di questi servizi è minimamente al livello del film Lei, dove umano e artificiale intraprendono una relazione sentimentale. Questi programmi imitano aspetti umani per apparire più “intelligenti”, ma di fatto forniscono servizi molto basici (“Accendi la luce”). Lo fanno però con una caratteristica innovativa, questa sì: usano il nostro metodo di comunicazione allo stesso tempo più naturale e rivoluzionario, il linguaggio.
Partendo dal presupposto che gli esseri umani nella maggior parte dei casi sono le creature più intelligenti che conosciamo, chi sviluppa software di artificial intelligence lavora su base emulativa. L’uso del linguaggio traslato nel campo
Parliamo di un’innovazione che andrà a toccare ogni ambito. E lo farà con una (apparente) magia: attraverso l’analisi dei dati, le AI possono prevedere il futuro (prediction). Dunque vanno oltre le capacità umane? No, perché si tratta di statistica. La singolarità tecnologica, quando lo sviluppo artificiale andrà oltre quello umano, è prevista tra il 2045 e il nuovo secolo. Per ora i supercomputer sono in grado di esprimere solo il 10% della capacità elaborativa del nostro cervello. «L’impronta dell’uomo è dunque ancora molto forte, il contesto di programmazione influenza i risultati», conclude Alcaino. Se temiamo le macchine, la soluzione è solo una: «Migliorare noi stessi».