IDROGENO UNA STORIA PER RAGAZZI
La possibilità di produrre energia “verde” a partire dall’acqua è da sempre affascinante ma troppo costosa. Anche Marco Alverà, amministratore delegato della Snam, ne era convinto: ora però, dati alla mano, ha cambiato idea. Per spiegarlo ai giovani ha scritto un libro. E qui racconta la rivoluzione pulita e il ruolo dell’Italia
Il futuro dell’energia verde spiegato attraverso l’avventura di tre ragazzi alla ricerca di uno scienziato scomparso a Venezia dopo aver inventato un’incredibile macchina per produrre energia con l’idrogeno. Marco Alverà ogni mattina va al lavoro alla Snam, l’azienda che fa giungere nelle nostre case il gas che arriva dalla Siberia, dal Nord Africa e presto dal Mar Caspio attraverso migliaia di chilometri di tubi: dal 2016 ne è amministratore delegato. Ora, però, arriva nelle librerie con Zhero. Il segreto dell’acqua (Salani): un libro che racconta ai preadolescenti la molecola che potrebbe cambiare il mondo.
«In realtà, in questo che è il mio primo libro per ragazzi, ho messo vari temi. A cominciare dall’importanza per le giovani donne di appassionarsi a materie scientifiche. Otto mestieri del futuro su dieci richiederanno una qualche competenza di questo tipo, noi in Snam vogliamo assumere 50 per cento uomini e 50 per cento donne. Ma purtroppo solo una ragazza su venti vuole studiarle. Ho lanciato una Fondazione intitolata a mia nonna che si chiamava Kenta Alverà: già nel 1986 invitava le studentesse a imparare l’informatica per rendersi davvero alla pari degli uomini».
Il racconto, però, gira soprattutto intorno all’idrogeno.
«Prima del Covid portavo a scuola le mie figlie Lipsi e Greta, di dieci e otto anni: ho visto crescere i movimenti ambientalisti giovanili con la loro bella energia di protesta. Ma nel dibattito sul clima è importante anche portare una prospettiva costruttiva e ottimista».
Il libro vuole proporre contenuti alle generazioni successive a quella di Greta.
«Esatto: quando arriveranno ad avere 16 anni, sapranno di più sia dei cambiamenti climatici, sia della grande battaglia che stiamo portando avanti: quella dell’idrogeno come modo per portare l’energia del sole, che finora è sempre stata cara e lontana, dentro i nostri camion, le nostre macchine, le nostre case e le nostre fabbriche».
Che cos’è la cosa più importante che i giovani non sanno?
«Dobbiamo dialogare con i giovani per spiegare che esiste un modo per coniugare sviluppo, sociale ed economico, con abbassamento radicale delle emissioni di CO2. Bisogna sostituire la paura con la speranza, la paura genera paralisi, la speranza genera azione. Non escludo un sequel al libro e un volume illustrato per i più piccoli». Ha scritto durante il lockdown. Che riflessioni le ha portato?
«Affacciarsi da un ponte a Venezia e vedere nell’acqua trasparente i pesci ha emozionato me e le mie bambine. Allo stesso tempo abbiamo però riflettuto insieme sulle conseguenze economiche insostenibili del “fermare tutto”. Peraltro il lockdown è stato un acceleratore: ha rotto l’inerzia, ci ha costretti a rivedere tante cose della nostra vita, lavorativa e privata».
Quando ha cominciato a pensare all’idrogeno come a una soluzione per il pianeta?
«Nel 2002, dopo aver letto il libro di Jeremy Rifkin sull’idrogeno, mi ero appassionato: partecipai al mega-convegno a Tokyo, da cui però ero tornato con l’idea che fosse bello e impossibile. L’idrogeno costava quaranta volte più del petrolio…».
l’energia elettrica dal sole, ndr), in passato fatti “su misura”, ora industrialmente. L’Europa ha seguito la ricetta, anticipando di cinque anni la nostra previsione».
Oggi qual è il quadro?
«L’idrogeno tra cinque anni può essere competitivo col diesel. Ma più che dalle automobili bisogna partire dai camion, dai distretti industriali, dalle raffinerie, dal riscaldamento delle case. Anche se il più grande produttore d’auto cinese ha appena dichiarato che il futuro è l’idrogeno, come i giapponesi. Alla fine si arriverà pure alle auto». Francia e Germania si sono alleate. Quale può essere il ruolo dell’Italia?
«La nostra visione è di produrre energia solare in Sud Europa e in Nord Africa, dove c’è tanto sole, produrre lì l’idrogeno e poi portarlo in Europa attraverso i nostri tubi, a un costo molto basso. L’Italia ha un grande vantaggio geografico: siamo già interconnessi con quest’area e possiamo diventare un hub per il continente».
Il ruolo di Snam?
«Vogliamo giocare una partita lungo la filiera, quindi trasportostoccaggio-liquefazione-rigassificazione, il nostro core business. Però ci piacerebbe valutare di espanderci anche nel mondo degli elettrolizzatori e nella mobilità». Ma che nemici ha l’idrogeno? «Non quelli che tutti si aspetterebbero. L’Arabia Saudita sta investendo su solare e idrogeno, la Russia su idrogeno e gas. Il vero ostacolo è l’inerzia, la percezione di chi pensa erroneamente che sia pericoloso. È il problema con le cose che non si conoscono. Per questo è importante fare cultura in modo serio. Con i ragazzi, innanzitutto».