Ingrao, poeta e navigatore
«Simile il mandorlo a marzo è scorza aspra e fiore d’argento», con questo verso che piacque subito a Eugenio Montale, un giovanissimo Pietro Ingrao si piazzò terzo nel 1933 dopo Attilio Bertolucci ai Littoriali della poesia.
E anche se può sorprendere questa versione poetica dell’ostico e rigoroso dirigente pci che piaceva più agli intellettuali che ai compagni di partito, continuò per tutta la vita la sua vocazione parallela, quasi antipolitica per quei tempi. Per esempio fissando in due soli versi, con sintesi poetica, un pezzo di storia del 900: «Pensammo una torre/Scavammo nella polvere». Che lui stesso commentò così: «È una poesia sul significato del comunismo. È la rappresentazione di una grande ambizione e di un grande fallimento».
Forse piaceva tanto anche ai giovani delle ali e dei movimenti Anni 70 quell’intellettuale ruvido da Lenola, Latina, che non a caso non ebbe ruoli di altissima influenza nel partito ma che esercitava grandissima influenza sulla società, proprio per quel suo grugno così emotivamente espressivo di quel che andava e non andava nel partito e nel Paese. Per le sue ambizioni larghe e puntute, quel suo volere la Luna sin da piccolo – sollecitato dai genitori a fare la pipì nel vasino e non altrove chiese in cambio, come premio, proprio lo splendente satellite della Terra – che poi diventò il leit motiv della sua vita e il titolo della sua biografia. E quel suo volere la Luna è restato sempre come l’esigenza di un salto nella politica, simbolo delle sue ambizioni umanistiche più larghe: «C’è un di più nella politica che è comunicazione, relazione. Questo in me si è unito spesso con… come lo vogliamo chiamare? Ma sì, chiamiamolo amore per la natura.