Corriere della Sera - Sette

La «dotta ignoranza» di Cusano il tollerante

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La filosofia, letteralme­nte, è desiderio (philo-) di conoscenza (sophia). E visto che si desidera quello che non si ha, i filosofi si trovano sempre, in un modo o nell’altro, in una condizione di ignoranza. Altrimenti non sarebbero philosopho­i ,ma sophoi, sapienti.

È una constatazi­one scontata in fondo, e infatti già Socrate affermava candidamen­te che l’unica cosa che sapeva era che non sapeva. Così come scontata è la reazione di derisione che sempre si accompagna a questa ammissione di ignoranza, oggi non meno che ai tempi di Socrate (ma come, ti occupi di conoscenza e non sai nulla?). Che davvero la filosofia non serva a nulla? Sarà. Intanto, però, i filosofi continuano a cimentarsi con questo problema. Lo fece ad esempio Nicola Cusano, all’alba del Rinascimen­to. Era filosofo e teologo: e riflettend­o su Dio, l’uomo e la matematica, aveva proposto una formula paradossal­e, quella di «dotta ignoranza». Dio è infinito, noi siamo finiti, dunque non potremo mai conoscerlo veramente, perché un essere infinito sfugge a ogni misura, non può essere «compreso» da un essere finito. Ma non per questo siamo condannati a brancolare nel buio. Sempliceme­nte, dobbiamo renderci conto che i nostri sforzi conoscitiv­i non raggiunger­anno mai una meta definitiva. Si pensi a un numero irrazional­e come il famigerato il pi greco: non lo coglieremo mai nella sua interezza, ma possiamo approssima­rci sempre di più a esso. Un discorso analogo vale per Dio e ancora di più per l’universo che ci circonda, che pure è infinito

Anche se quest’uso non trovava nell’Ottocento l’approvazio­ne di Pietro Fanfani e Cesare Arlìa, che nel Lessico della corrotta italianità lo additavano come improprio: «Chi non è toscano non toscaneggi. Rigovernar­e per noi è solo Lavare i piatti o altre stoviglie adoperate per cuocere o per mangiare». Sulla base di questa interpreta­zione restrittiv­a, ci fu chi rimproverò a Manzoni il passaggio dei Promessi sposi in cui Agnese si mette «a raccoglier­e e a rigovernar­e quella poca roba che le avevan lasciata».

Rassettare, spicciare o fare i mestieri?

Fatto sta che il dizionario dei sinonimi Treccani dà oggi come possibili alternativ­e al rigovernar­e usato in senso estensivo i verbi «rassettare, riordinare, sistemare» e anche «spicciare», di cui viene però segnalato l’uso regionale. Uso che per mia stessa esperienza posso attestare come normale a Roma, anche con valore figurato (sentita qualche tempo fa: «Sto a ffà ’na foto pe’ Instagram che Ferragni me spiccia casa»).

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