DAL COVID ALLA COMETA L’EROE DELLE CATASTROFI GERARD BUTLER Greenland
è il primo film su una calamità ad arrivare sugli schermi in tempi di pandemia. L’attore scozzese lo sa bene: «Di solito questo genere punta sugli effetti speciali per catturare il pubblico, ora invece c’è una potente connessione a livello emotivo con chi guarda»
«Oggi sappiamo come avremmo affrontato noi l’imprevisto, come ci saremmo comportati con i nostri famigliari, come avremmo salutato i nostri amici o i vicini... Prima ti chiedevi: cosa farei se fossi in quella situazione?».
Il suo personaggio compie scelte dolorose, come abbandonare gli amici per salvare la famiglia. «Penso che avrei fatto anche io come lui. È orribile abbandonare qualcuno a cui vuoi bene perché è l’unico modo
CARTA D’IDENTITÀ
le persone che mi sono più vicine per un caso del destino o perché le ho scelte. Loro sono state con me, al mio fianco attraverso gli anni e le difficoltà e lo stesso ho fatto io con loro». La cometa, invece, «è una metafora di tutte le difficoltà in cui ci si può imbattere nell’esistenza: possono essere piccole o grandi, ma alla fine definiscono chi siamo. Da come le affrontiamo dipende se saremo eroi o persone che scappano». Ogni risposta per Butler è lecita, visto che lui per primo non crede al bianco e al nero: «Non c’è il buono da una parte e il cattivo dall’altra. Anche il film, che ho deciso di produrre, mostra quanto non sia mai facile prendere le decisione giusta e spesso si debba scendere a compromessi». Nel film è anche un papà: le piacerebbe diventarlo anche al di qua dello schermo? «Diventare padre sarebbe bellissimo», ammette sorridendo. «Certo che lo vorrei. Mi capita spesso quando recito con questi ragazzini e interpreto il loro papà, di affezionarmi molto a loro e di immaginarmi inevitabilmente in quel ruolo... chissà se mi mancheranno mai dei figli o se viceversa arriveranno».
Se un salto nel futuro è difficile, si può tentare di farne uno nel passato: la scena del gruppo di amici appesi alle immagini della cometa che si avvicina drammaticamente alla Terra potrebbe ricordare l’esperienza condivisa di chi ha seguito ogni istante dell’attacco alle Torri Gemelle. «In effetti sono tante le immagini nel film, anche molto forti, che fanno tornare alla mente cose già vissute. In particolare, che ci si trovi di fronte ad azioni terroristiche o a catastrofi naturali, quella sensazione che si prova quando sembra che il mondo sia fuori controllo». Lui, quell’11 settembre era a New York: «Viste le notizie, ero in stato di choc e ho cercato di avvicinarmi il più possibile alle Torri: essere lì, in quella situazione, in mezzo a tutte quelle persone è stato devastante, una sensazione che mi ha accompagnato a lungo anche dopo... è ancora difficile da razionalizzare per me». Un tentativo per farlo, secondo l’attore, è riagganciarsi al messaggio centrale di Greenland: «Chiedersi cosa è davvero importante nella vita: alla fine dei conti dovremo morire tutti ed è lì che realizzi cosa hai creato, cosa hai coltivato, cosa vale davvero». La risposta più vera è anche la più semplice: «Io sono convinto che ciò che resta è sempre l’amore e la connessione che si è riusciti a creare con le persone. Quando una difficoltà arriva, non importa quanto sia devastante, ci fa fare i conti con quello». Ed anche sulla scorta di questo pensiero confessa, ridendoci un po’ su, che – potendo – cambierebbe «la maggior parte delle scelte fatte: ho preso tantissime decisioni sbagliate, fatto errori... alcuni non enormi, altri invece gravi. Posso dire che mi hanno comunque insegnato qualcosa ma in certi casi volentieri tornerei indietro per non ripeterli».