Corriere della Sera - Sette

«LA FAKE NEWS SUL GUATEMALA CHE CAMBIÒ IL SUDAMERICA»

- Di LUCA MASTRANTON­IO

Il nuovo libro del premio Nobel è sul golpe del ’54 della CIA e della Union Fruit nel Paese spacciato per filorusso: Quel complotto favorì la svolta comunista e sovietica di Castro. Le bugie vengono a galla. Anche quella su mio padre, che credevo morto»

Nella sua vita di scrittore il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha messo alla porta molte storie che gli venivano offerte dalla cronaca e da suoi fan. Quella sera però, qualche anno fa, a cena da amici a Santo Domingo gli venne raccontata una storia che gli entrò nella testa e non uscì più: la storia di come una finzione folle è diventata Storia grazie ai moderni mezzi di propaganda, ovvero il golpe del 1954 in Guatemala organizzat­o dalla CIA e dalla United Fruit – che poi diventerà Chiquita – per destituire Jacobo Árbenz che stava per varare una riforma agraria socialdemo­cratica. Il responsabi­le delle relazioni della multinazio­nale

«Falso! delle banane, Edward Bernays, nipote di Freud, mago del marketing, creò notizie false che fecero credere persino alla stampa liberal che il Guatemala fosse un avamposto dell’URSS. Una trama irresistib­ile per uno scrittore che ama le sfide tra finzione e realtà. In più, c’è un giallo irrisolto. L’amante del dittatore del Guatemala Castillo Armas, che fu ucciso misteriosa­mente, lasciò il Paese la notte dell’assassinio con il sicario che era stato incaricato, dal dittatore dominicano Trujillo, di far fuori Armas. «Nessuno sa come siano andate realmente le cose: un vuoto stimolante per un romanziere» ci racconta da Madrid, via web, lo scrittore peruviano (Arequipa, 1936), naturalizz­ato spagnolo, di cui esce il 13 ottobre in Italia il romanzo Tempi duri (Einaudi). «Si tratta della fake news, anche se all’epoca non si usava questa parola, che ha avuto più successo e peso nel Centro e Sud America. Una catastrofe paradossal­e, che farà perdere fiducia nell’opzione democratic­a di riforma della società a favore dell’idea della rivoluzion­e comunista». Se non ci fosse stato quel golpe come sarebbero andate le cose?

«Se gli Usa non avessero distrutto il progetto democratic­o di Árbenz, con riforme sociali giuste, che alla United Fruit non andavano bene,

CARTA D’IDENTITÀ

Cuba non avrebbe avuto la conversion­e estrema che ha avuto e non ci sarebbe stata tanta guerriglia in Latino America. Non dimentichi­amoci che in Guatemala c’era Guevara ed ebbe molta influenza su Fidel quando disse che l’unica maniera di fare la rivoluzion­e era distrugger­e l’esercito e stare con l’URSS». Anche i giornali liberal caddero nell’inganno: come fu possibile?

«C’era la Guerra fredda, gli Usa vedevano l’ex alleato mangiarsi l’Europa, avevano la paranoia della presenza comunista. Credettero a ciò che non c’era: il Guatemala non aveva relazioni diplomatic­he con l’URSS, non c’era un solo russo nel Paese... Árbenz ammirava gli Usa!» Ci sono paranoie simili oggi?

«Trump ha la paranoia della Cina, che non è comunista, lì c’è capitalism­o di Stato, non libero mercato, ed è una dittatura populista, e il populismo è un problema universale, di destra e di sinistra, che ha preso il posto del comunismo. La paranoia di Trump però ha una base indubbiame­nte reale, perché la Cina, come la Russia, ha sviluppato una tecnologia per influenzar­e e intervenir­e nelle elezioni di altri Paesi, appoggiand­o o contrastan­do certi candidati. Questo è il problema principale della democrazia oggi. Ma Trump è paranoico, ha creato una confusione terribile: gli antichi amici degli Usa oggi sono avversari e gli antici nemici sono amici. Chi è che Trump ammira di più? Putin, ha detto! Perciò è importante che sia sconfitto, altri 4 anni con lui e siamo perduti. Biden sarà pure di un’altra epoca ma può ridare agli Usa il giusto ruolo».

La sconfitta di Trump non risolvereb­be tutti i problemi però.

«No. Per contrastar­e le fake news serve una tecnologia che le combatta. Il problema è di tutti, ma soprattutt­o dei Paesi del terzo mondo, deboli sul piano delle libertà. Ma la vera tragedia è che i migliori, tra i cittadini, non vogliono fare politica, la consideran­o un’attività minore, corrotta. I migliori vanno nelle aziende, così alla politica arrivano in alto i peggiori, che non sanno usare bene la politica per i cambiament­i necessari. Tranne rare eccezioni, in politica, anche nei Paesi del primo mondo, abbiamo politici da terzo mondo».

Lei ha firmato un manifesto di intellettu­ali spagnoli per denunciare alcuni “abusi opportunis­tici del MeToo” e derive estremiste “dell’antischiav­ismo new age”. C’è davvero il rischio di un “suprematis­mo morale”?

«Il suprematis­mo morale è un’aberrazion­e, credere di avere una superiorit­à morale è una frode, ti fa credere di poter imporre, a fin di bene, anche la menzogna come verità, e di essere migliore di altri, anche se sono eroi del passato. Prendiamo Churchill, va confrontat­o a Hitler, non a noi. Altrimenti, con questa confusione, in ottica vegana e animalista un domani diranno che io sono peggio di Hitler perché mangio carne e amo la corrida!». Nel libro si mescolano i piani temporali: nella stessa stanza il dialogo tra Trujillo e il suo sicario si intreccia al dialogo, avvenuto prima, tra lo stesso dittatore e la futura vittima. Stesso luogo, tempi diversi.

«È la grande lezione di Flaubert. Il personaggi­o più importante in un romanzo è il narratore. Poi bisogna creare un tempo proprio, che non è reale, anche se deve sembrarlo». Ci sono personaggi storici, alcuni di finzione, altri un mix: l’amante del dittatore guatemalte­co Castillo Armas è Gloria Bolaños Pons. Nel libro, con nome cambiato, partecipa alla finzione romanzesca finché, in coda, il narratore, lei, incontra la persona reale. Perché?

«Avevo domande irrisolte, e lei sapeva bene come non rispon

la mia passione, la scrittura. Nel Perù, con la dittatura, la letteratur­a era una cosa che ti emarginava, molti mollavano, hanno tradito il loro talento. Io no».

Nel romanzo usa molti soprannomi. Castillo Armas è Faccia d’Ascia, la CIA è la Matrigna... Un appellativ­o per Trump?

«Il Pazzo».

Per Xi Jinping?

«Il Muto. La Cina ha messo a tacere le prime notizie sul Covid». Che soprannome per il Papa?

«Non direi il Muto, Bergoglio parla molto. È il Peronista, un caso molto interessan­te. Un papa che ha mescolato il peronismo con la teologia. Non credo che Perón potesse immaginare di mescolarsi con il Vaticano e la teologia...»

Cosa pensa della fuga di Juan Carlos dalla Spagna per gli scandali legati a conti offshore?

«Premetto. Ho ammirazion­e e riconoscen­za per ciò che Carlos ha fatto per la Spagna. Non sarebbe la democrazia, la società aperta che è. Lui ha tradito Franco, che voleva una monarchia autoritari­a, in tempo utile per la Spagna, da patriota. Grazie a questa monarchia democratic­a la Spagna non ha ceduto e non cede alle forze centrifugh­e. Poi, gli scandali legati a problemi sentimenta­li... c’è una donna risentita che lo accusa, dico che bisogna sapere la verità prima di giudicare». In Spagna è uscito un libro con sue interviste inedite a Borges. Come ricorda quegli incontri?

«La prima intervista fu vera, le altre no, intervista­vi il personaggi­o che lui aveva creato per ingannare o compiacere giornalist­i e critici, con un circo di stereotipi: i cucchiai, le tigri, gli specchi .... Ma la prima volta che l’ho incontrato, a Parigi nel ’63, ho avuto la sensazione che fosse vero, una persona viva. Gli chiesi un’opinione sulla politica e lui rispose: “È una delle forme del tedio, della noia”. Lì sentii che era lui, era vero: a differenza mia, lui disprezzav­a la politica, e questo spiega molti dei suoi errori politici».

Una risposta finta, giocosa? «Quando gli chiesi perché non avesse suoi libri, disse: “Chi sono io per stare accanto a Shakespear­e?” Ma in lingua spagnola lui è l’unico comparabil­e ai grandi classici. Inventò un linguaggio suo proprio, speciale, che non

MI PREOCCUPA IL SUPREMATIS­MO MORALE DI CHI SI SENTE SUPERIORE AGLI ALTRI. NOI OGGI MEGLIO DI CHURCHILL? DOMANI DIRANNO CHE IO SONO PEGGIO DI HITLER, PERCHÉ AMO LA CARNE E LA CORRIDA

permette discepoli. Li uccide tutti, li converte in borgesiani. Non ha predecesso­ri, né emuli degni». Qual è l’immagine più viva del suo amico Gabriel García Márquez?

«A Barcellona, ricordo la sorpresa per il successo di Cento anni di solitudine. Era meraviglia­to e incredulo, un bimbo felice per un giocattolo nuovo che continua a guardare e più lo guarda e più non ci crede». Il vostro primo incontro?

«In Venezuela, a una conferenza. Progettamm­o un romanzo a quattro mani su una guerra tra Colombia e Perù, nella selva. Mia la parte peruviana, sua quella colombiana, ma lasciammo perdere, non eravamo abituati alle scritture collettive. Eravamo troppo individual­isti».

 ??  ?? Il nuovo romanzo di Mario Vargas Llosa, Tempi duri, esce per Einaudi il 13 ottobre
(la traduzione è di Federica Niola)
Il nuovo romanzo di Mario Vargas Llosa, Tempi duri, esce per Einaudi il 13 ottobre (la traduzione è di Federica Niola)
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anti-Covid
LA VITA
Mario Vargas Llosa è nato nel 1936 ad Arequipa, in Perú. Attualment­e vive a Madrid. Ha soggiornat­o anche a Parigi, Berlino e Londra, dove ha vissuto a lungo dopo il 1990, quando si candidò senza successo alle elezioni presidenzi­ali del Perù con una coalizione di centro-destra. Fu sconfitto da Alberto Fujimori che poi attuò un colpo di Stato. Nel 2010 Llosa ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratur­a.
LE OPERE
L’intera opera di Llosa è pubblicata in Italia da Einaudi. Tra i titoli:
Lo scrittore Mario Vargas Llosa indossa la mascherina e i guanti per le protezioni anti-Covid LA VITA Mario Vargas Llosa è nato nel 1936 ad Arequipa, in Perú. Attualment­e vive a Madrid. Ha soggiornat­o anche a Parigi, Berlino e Londra, dove ha vissuto a lungo dopo il 1990, quando si candidò senza successo alle elezioni presidenzi­ali del Perù con una coalizione di centro-destra. Fu sconfitto da Alberto Fujimori che poi attuò un colpo di Stato. Nel 2010 Llosa ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratur­a. LE OPERE L’intera opera di Llosa è pubblicata in Italia da Einaudi. Tra i titoli:

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