Corriere della Sera - Sette

IL CACCIATORE DI RAGAZZE E LA BATTAGLIA SENZA FINE DI UNA MADRE

- Di MASSIMILIA­NO JATTONI DALL’ASÉN

Negli Anni 80 Modena è tra le più ricche città d’Italia ed è anche in testa alla classifica negativa del consumo di droga. Qualcuno uccide, soffocando­le e accoltella­ndole, dieci ragazze, quasi tutte prostitute. Ma una donna non si arrende

Questa è una brutta storia di violenza e paura, una storia di morte consumata tra insegne luminose e intermitte­nti, fari allo iodio e squallidi parcheggi lungo la via Emilia modenese, in un arco di tempo che va dalla prima metà degli anni Ottanta fino al 1995. Questa è la storia di un serial killer senza nome da oltre 35 anni. Una malabestia della quale non conosciamo nemmeno l’identikit. Anzi, un mostro così evanescent­e che forse non è mai esistito. L’unica cosa certa, l’unica tragica evidenza, sono le giovani vittime: ragazze strangolat­e, pugnalate, uccise col cranio sfondato.

Tutto comincia ai margini (sociali e letterali) della città di Modena, in una via isolata del quartiere Sacca. È il 15 novembre 1983 quando viene ritrovato il corpo della prostituta Filomena Gnasso. La donna è stata uccisa con cinque pugnalate ma il delitto viene ascritto al racket della prostituzi­one. La città appare subito indifferen­te al destino di chi con quel modo di campare – dicono in molti – se l’è andata a cercare. Due anni dopo, il 21 agosto 1985, la stessa storia. A Baggiovara, frazione alle porte della città, tra le zanzare e le sterpaglie, accanto a una fornace abbandonat­a giace il corpo di Giovanna Marchetti. Da viva Giovanna mostrava meno dei suoi 19 anni, ma ora il suo volto da bambina è sfigurato e il suo cranio fracassato da una grossa pietra che i carabinier­i trovano accanto al corpo. Anche Giovanna si prostituiv­a e lo faceva per pagarsi le dosi di eroina. Negli Anni 80 Modena non è solo la città che insieme a Milano ha il reddito pro capite più alto d’Italia, è anche in testa alla classifica negativa della droga. Le morti tra i tossicodip­endenti sono quasi all’ordine del giorno e le indagini dei carabinier­i si muovono lente, per concentrar­si alla fine su un agricoltor­e della provincia di Reggio che si fa tre mesi di carcere prima di venire scagionato. Poi,

avere informazio­ni importanti, ma un mese e mezzo dopo è anche lei un cadavere strangolat­o e gettato in via Mulini, una strada buia che collega Carpi a Gargallo. I genitori non volevano che uscisse quella sera, ma la ragazza ha insistito. Sulla sua agenda è segnato un appuntamen­to «con una persona importante». Ancora una volta indagini veloci che non portano a nulla: un mese dopo il caso è chiuso senza un colpevole.

Passano altri due anni fin quando il 30 maggio 1989, nel terminal dell’Autobrenne­ro di Campogalli­ano, viene rinvenuto il corpo di Claudia Santachiar­a, 24 anni. Di nuovo una tossicodip­endente che si prostituis­ce per pagarsi le dosi. Claudia è stata strangolat­a: al collo c’è ancora il cappio che le ha tolto la vita e sul corpo i segni di chi ha lottato disperatam­ente. Le indagini durano un paio di mesi e si concludono con un sospettato subito scagionato.

Ma intanto un cronista di nera della Gazzetta di Modena, Pier Luigi Salinaro, oggi in pensione, indaga per conto suo e si rende conto di una serie di corrispond­enze che legano i delitti delle lucciole: le vittime fanno tutte la stessa vita e le loro morti mostrano una cadenza temporale, una serialità. I delitti sono avvenuti ogni due anni: 1983, 1985, 1987 e 1989, se si eccettua la morte di Marina Balboni, forse eliminata solo perché testimone scomoda. Gli omicidi che seguiranno rafforzera­nno le convinzion­i di Salinaro: i luoghi dei ritrovamen­ti dei cadaveri, se collegati sulla cartina, formano un pentacolo, un simbolo demoniaco negli ambienti esoterici. Il giornalist­a

inizia così a tratteggia­re la figura di un serial killer, il Mostro di Modena. Ma le teorie di Salinaro non trovano ascolto in Procura.

E infatti quando l’8 marzo 1990 in un fosso a Staggia di Bomporto viene rinvenuto il cadavere della 21enne Fabiana Zuccarini, lo schema seriale degli omicidi sembra saltare: è passato meno di un anno dall’omicidio di Claudia Santachiar­a e Fabiana è l’unica delle ragazze uccise a non prostituir­si. Pochi mesi dopo, il 13 ottobre 1990, i pompieri estraggono dall’incendio dei palazzoni del Windsor Park di Modena il cadavere di un’altra lucciola, Antonietta Sottosanti. L’incendio è stato appiccato per nascondern­e l’omicidio. La donna è morta soffocata, ma non per il fumo, per una calza di nylon che qualcuno le ha infilato a forza in gola.

Uno schema

Ma due anni dopo lo schema del killer sembra riemergere. Il 4 febbraio 1992 un’altra prostituta, la 32enne Anna Abbruzzese, viene ritrovata strangolat­a nelle campagne intorno a San Prospero. Altri due anni e il 26 gennaio 1994 tocca ad Annamaria Palermo, 21 anni, ritrovata in un fosso di Corlo, vicino a Formigine. Gli inquirenti brancolano sempre più nel buio. Poi, una svolta sembra arrivare con l’ultima vittima, Monica Abate, la cui morte all’apparenza non mostra alcun collegamen­to con quello delle altre. Monica infatti viene uccisa il 3 gennaio 1995 nella sua abitazione, dove abitualmen­te riceve i suoi clienti. È più grande delle altre vittime, ha 31 anni e sembra essere morta per overdose. La donna infatti giace a terra con un ago nel braccio. L’autopsia però racconta una storia diversa. Anche Monica è stata soffocata, l’assassino le ha tenuto

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Qui sopra un fotogramma del documentar­io dedicato ai delitti del mostro di Modena: il caso non è mai stato risolto
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In alto da sinistra Anna Abbruzzese, Annamaria Palermo, Antonietta Sottosanti, Claudia Santachiar­a, Donatella Guerra. Sotto, da sinistra, Fabiana Zuccarini, Filomena Gnasso, Giovanna Marchetti, Marina Balboni: le donne furono assassinat­e dal 1985 al 1995
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