A COLORI, CON STILE: ESPRIMERE IL DISSENSO LUNGO IL CONGO
Sono gli eredi dei sapeurs degli Anni 60. Ovvero i dandy di Brazzaville e Kinshasa che amano vestirsi all’occidentale un po’ per parodiare gli ex colonizzatori un po’ per esibire la propria idea di eleganza. Un libro fotografico racconta le loro vite
Per loro è una forma di resistenza, attivismo sociale, protesta pacifica. Sulle rive del Congo da mezzo secolo si diffonde la cultura dei sapeurs, ovvero i seguaci della S.A.P.E, la Société des Ambienceurs et des Personnes Elégantes. Durante il giorno gli affiliati svolgono mansioni ordinarie: taxisti, sarti, manager, muratori, studenti, casalinghe…Verso sera la trasformazione. Sull’una e l’altra sponda, a Brazzaville e a Kinshasa, spuntano i dandy africani. Tutto fa brodo: da Yamamoto a Yves Saint Laurent, da Versace a Christian Dior senza disdegnare i tessuti e gli accostamenti della tradizione.
La sapologia nasce negli Anni 60 e la si trova anche in Francia e in Belgio tra i congolesi espatriati. È un modo di riappropriarsi dei codici culturali del colonizzatore parodiandoli che però Mobutu, preso il potere, non apprezza: i segni della sottomissioni culturale vanno semplicemente soppressi.
Lo slogan istituzionale è abacost ovvero abbasso l’abito maschile, giacca e pantalone. Vestirsi con completi colorati, con tanto di cravatta e camicia con il collo, si trasforma in una forma di contestazione del potere autoritario. Se prima era appannaggio degli uomini, La Sape dagli Anni 90 affascina anche le donne. La moda continua ai giorni nostri tanto da attrarre l’attenzione dei fotografi. Tra cui Tariq Zaidi (ex manager londinese con un dottorato in scienze), il pluripremiato reporter autore delle fotografie di queste pagine.