MI HA SALVATO MIA MADRE»
per ben due volte le ha di fatto ridato la vita.
«In realtà è capitato per tre volte. La prima: la levatrice, che si era presa la responsabilità di voler fare il parto in casa, si accorse che il cordone ombelicale mi si era attorcigliato intorno alla fronte e mi impediva di uscire. Finalmente con un dito mi liberò e così mia madre, quando sembrava già tardi, con le ultime spinte mi mise al mondo. La seconda: a un anno e mezzo avevo la pertosse ed era così cattiva che, con i colpi che davo, mi era venuta l’appendicite. Ma nessuno se n’era accorto. Io continuavo a piangere e mia madre mi portò in farmacia per trovare qualche rimedio. Lì incrociò un medico che mi fece una visita sommaria, sufficiente per portarmi in ospedale d’urgenza perché era già diventata peritonite. Infine l’ultima: banale operazione alle tonsille, ma mia madre decise di passare la notte con me contro il volere dei sanitari. Ad un certo punto lei cominciò a dire: “Guardate che non sta bene…”. Ma gli infermieri le ripetevano che non era nulla, di stare tranquilla, che il giorno dopo sarei stato come nuovo. Non la convinsero e andò a chiamare un medico per fargli vedere le mie unghie che stavano iniziando a ingrigirsi. Il dottore mi dette uno scossone e io iniziai a vomitare sangue: c’era un’emorragia in corso. Di nuovo di corsa in sala operatoria per un secondo intervento e io rimasi, credo sia un record assoluto per un’operazione alle tonsille, 17 giorni in ospedale. E questa è la Rina, mia madre».
In tutti questi anni, qual è la cosa più preziosa che ha messo via?
«Niente, porto tutto con me. Tengo ogni cosa bene in caldo perché credo di essere consapevole della fortuna che ho avuto e che ho. In questi trent’anni ho fatto e realizzato tanto. E ho potuto godere di un affetto così grande che per me, ancora oggi, è meravigliosamente inconcepibile».
Continui bollettini in tv sul propagarsi dei contagi da Covid, il Papa in diretta da una piazza San Pietro deserta: la sua A che ora è la fine del mondo? del 1994 oggi suona vagamente profetica...
«Quella canzone era molto ironica, nata pensando al fatto che in quel momento, con Berlusconi che era stato eletto per la prima volta, si sosteneva che la televisione non avesse contato, io invece ero convinto del contrario. Tornando all’attualità, è vero che questo è un momento in cui regnano spavento e preoccupazione, ma io continuo a vederci un’occasione che rischiamo
fissa. Si sa che vengo da una famiglia comunista, l’ambiente qui intorno era, negli anni 60-70, assolutamente così, quasi con percentuali bulgare. A Correggio, il centro cittadino è letteralmente tagliato a metà da corso Mazzini che all’epoca divideva don Camillo da Peppone, si stava o di qua o di là. Io seguivo i miei genitori, ma poi andavo anche a messa. Ho sempre avuto le mie simpatie, ho sempre votato a sinistra, ma questo non ha mai voluto dire aderire ad un dogma, essere allineato. Ecco, se c’è una cosa che mi dispiace è aver visto svanire quell’adesione popolare al Pci che gli altri partiti non avevano. Lo vedevo qui alla Festa dell’Unità quando tante persone prendevano le ferie per lavorare come dei matti, senza venir