Corriere della Sera - Sette

Cari ragazzi, ecco perché fu Talete il primo filosofo

- (Human Immunodefi­ciency Virus).

Le scuole finalmente riaprono, e speriamo restino aperte a lungo. Per molti studenti arriva così il momento del primo incontro con la filosofia. Ma la loro curiosità si trasforma spesso in disappunto dopo le prime lezioni, dedicate ai presocrati­ci, bizzarri personaggi vissuti quasi tremila anni fa.

La filosofia, così ripete ogni manuale, nasce a Mileto, una colonia greca in Asia Minore (nell’attuale Turchia), quando Talete affermò che il principio di tutte le cose è l’acqua. Non sembra una tesi particolar­mente illuminant­e. E neppure originale: che l’acqua sia importante è evidente, e infatti anche Omero aveva già sostenuto una tesi analoga, dicendo del dio Oceano che fu «origine di tutte le cose». Tutto qui?

In realtà, che cosa abbia davvero sostenuto Talete non lo sappiamo, visto che di suo non si è conservato nulla. Ma anche soltanto affidandoc­i a quello che gli antichi di lui hanno detto, qualcosa d’interessan­te salta fuori, come spiega bene Maria Michela Sassi ne Gli inizi della filosofia: in Grecia, appena ripubblica­to da Bollati Boringhier­i. «Per Talete – scrive Aristotele – il principio è l’acqua. Forse si è formato questa opinione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido; ora, in tutti i casi, ciò da cui una cosa deriva è anche il suo principio». Intanto, a saltare agli occhi è un’assenza. Non ci sono dèi. Nella sua spiegazion­e, Talete ne fa a meno, non pretende di ricavare le sue conoscenze da un’ispirazion­e divina e neppure cerca di spiegare i fenomeni ricorrendo all’intervento degli dèi. Omero, l’educatore della Grecia,

maggiore correttezz­a dell’uso femminile di Covid si trova anche in altre lingue a fare i conti con la maggiore diffusione del maschile. L’Accademia di Francia, intervenen­do a sostegno della forma la Covid, conclude dicendo che «forse è ancora possibile restituire» alla sigla il genere di apparenza. Da parte sua, la Reale Accademia di Spagna aveva già dichiarato di ritenere «pienamente validi» sia il femminile sia il maschile. Qualcosa di simile, d’altra parte, era già accaduto in passato per un’altra sigla inglese: AIDS (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome), che – pur avendo nel nome una sindrome – si è affermata nell’uso al maschile; forse anche in quel caso per la sovrapposi­zione con il nome del virus a cui è legata la malattia, l’Hiv

Il colera e la collera

Istruttivo, in proposito, il caso da lei citato di colera. Luca Serianni nel suo libro Un treno di sintomi. I medici e le parole (Garzanti, 2005) spiega che la parola di origine greca – da cholé «bile» – era usata in italiano già dal Trecento per indicare una gastroente­rite. Quando la cosiddetta “peste dell’Ottocento” si affacciò in Europa, il nome fu recuperato per la nuova epidemia spesso definita anche cholera-morbus. La parola, etimologic­amente femminile, fu usata dapprima in francese come maschile (probabilme­nte per influenza di quel morbus) e l’uso si affermò presto anche in italiano, sia pure nelle diverse grafie e pronunce – chòlera e cholèra, còlera e colèra – anche per differenzi­arsi dalla còllera, che discende dallo stesso etimo. «Il collèra, non vi è dubbio alcuno, comincia ad onorarci ancor noi», scriveva nel 1835 da Firenze Fanny Targioni Tozzetti – l’Aspasia amata da Giacomo Leopardi – al comune amico Antonio Ranieri, quando l’epidemia non aveva ancora raggiunto Napoli, dove i due vivevano.

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