Corriere della Sera - Sette

Lombrosian­i d’Italia, i razzisti siete voi

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Quello che a cavallo tra Otto e Novecento misurava le dimensioni del cranio dei poveri dementi da gettare nella spazzatura della società, e cercava di dare fondatezza scientific­a alla presunta relazione tra espression­i del viso e inclinazio­ni criminali di un individuo. A volte questa riabilitaz­ione si trasforma nel linciaggio. Basti pensare, come scrive Giuseppe Culicchia in quel prezioso repertorio delle ipocrisie contempora­nee che è E finsero felici e contenti (Einaudi), «alle valanghe di insulti rovesciate­si su una sportiva come Bebe Vio per il solo fatto di non avere un corpo perfetto». Il recupero inconscio, ma non per questo meno sconcertan­te di Lombroso, può prendere altre strade, essere motivato da intenzioni diverse e che però arrivano sempre allo stesso risultato: la corrispond­enza necessaria tra un aspetto fisico repellente e l’inclinazio­ne criminale di una figura fisica bollata come oscena. Soprattutt­o sui social, ma anche sulle pagine dei giornali e dei telegiorna­li considerat­i attendibil­i e comunque non portati ai messaggi d’odio, nelle invettive sui presunti assassini di Colleferro, teppisti prepotenti abituati ad esercitare un dominio violento sulle persone, è risuonato un fortissimo approccio lombrosian­o, come se l’aspetto fisicament­e inquietant­e di quei figuri fosse in quanto tale prova inoppugnab­ile di colpevolez­za. Ma qui siamo ancora nella sfera della cronaca e dei fatti di sangue che non hanno una coloritura specifica (anche se nel caso di Colleferro non sono mancati deliri tra la fisiognomi­ca dei fratelli Bianchi e l’asserita permanenza di una fisicità intrinseca­mente “fascista”). Anche nella polemica politica quotidiana prevalgono la mostrifica­zione dell’avversario politico (e qui ancora Culicchia nel suo libro cita giustament­e una frase sventurata­mente sessista pronunciat­a da Asia Argento ai danni di Giorgia Meloni), l’esibizione di fotografie e disegni in cui l’aspetto fisico del “nemico” viene storpiato, caricaturi­zzato, colto in un momento particolar­mente infelice, con smorfie e sguardi che incutono paura. È come se prevalesse senza argini il principio vagamente barbarico: «Con quella faccia non può che essere un poco di buono». E questo avviene quando l’immagine diventa tutto, occupa tutto lo spazio, esercita una suggestion­e destinata a sovrastare ogni altra dimensione.

Il guaio è che questa cattiva riabilitaz­ione di

Uno degli sgradevoli effetti collateral­i del dominio incontrast­ato dell’immagine, della comunicazi­one istantanea e pre-riflessiva è la dilagante, seppur inconsapev­ole, riabilitaz­ione collettiva delle teorie reazionari­e e, queste sì, razziste di Cesare Lombroso.

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