Corriere della Sera - Sette

LA STRAORDINA­RIA STORIA DI HELEN JONES E DELLE RAGAZZE DEL JAZZ SUL BUS DEI DESIDERI

- Di ARIEL PENSA

«Ci dispiace, ma noi credevamo che lei fosse bianca…». Licenziata in tronco: dopo un solo concerto con l’Omaha Symphony Orchestra. Era il 1949: solo quindici degli Stati Uniti d’America avevano abolito le legislazio­ni segregazio­niste e il Nebraska non era tra questi. A livello federale vigevano ancora ben 30 leggi contro la mescolanza razziale. Sulla carriera profession­istica di Helen Jones – tanto chiara di pelle da non sembrare negra, come si diceva allora – calò la saracinesc­a: il padre, carnagione molto scura, l’aveva per così dire “smascherat­a” andando a prenderla all’uscita dal suo debutto. Un tramonto subitaneo, senza i ripensamen­ti e le amarezze del crepuscolo. Fino a pochi mesi prima aveva percorso i palcosceni­ci a stelle e strisce suonando con la più celebre jazz band al femminile che (a tutt’oggi) si sia mai vista. Era nata nell’autunno del 1923 e già allora si ebbe un prologo di quell’equivoco che avrebbe poi segnato la sua vita: abbandonat­a in fasce, finì infatti in un orfanotrof­io per bimbi bianchi, ma quando si accorsero che le sue origini erano afroameric­ane, non la vollero più tenere. E forse fu un gran colpo di fortuna.

Helen Elizabeth Jones Woods è morta il 25 luglio in un ospedale di Sarasota, in Florida, a causa del coronaviru­s. Novantasei­enne, aveva appeso a un gancio il suo trombone 70 anni prima. Non è mai diventata una superstar del jazz – anche se avrebbe potuto esserlo – ma la sua storia, nella stagione del “Black Lives Matter”, sta toccando profondame­nte le fasce più sensibili dell’opinione pubblica statuniten­se.

Ispirata dai genitori adottivi A portarsela a casa, da quel brefotrofi­o di Meridian, nel Mississipp­i, era stato il dottor Laurence Clifton Jones, figura quasi leggendari­a dell’emancipazi­one afroameric­ana: sottratto appena in tempo a un linciaggio quand’era giovane, diede vita con la moglie alla Piney Woods Country Life School, un’istituzion­e fortemente innovativa per i ragazzi di colore nel Sud. Proprio la mamma adottiva, Grace, sosteneva in quegli anni la validità dell’educazione musicale e la piccola Helen, appena fu in grado di imbracciar­lo, si dedicò allo studio del trombone. Strumento insolito per una ragazzina, ma non così raro: Melba Liston, quasi coetanea di Helen, cominciò a suonarlo prima di ritrovarsi come compagna di classe di due futuri mostri sacri del sax come Eric Dolphy e Dexter Gordon, per poi intraprend­ere una carriera prestigios­a, soprattutt­o come arrangiatr­ice.

Da una piccola formazione all’altra, Piney Woods fu la fucina di molte esperienze musicali, sbocciate infine nell’Internatio­nal Sweetheart­s of Rhythm, un gruppo rigorosame­nte femminile che cominciò a farsi apprezzare in tutto il Paese. La strada del jazz al femminile non era mai stata troppo facile, ma ci avevano provato in molte. Esattament­e cent’anni fa, il 26 agosto del 1920, era stato approvato il XIX emendament­o della Costituzio­ne americana che estendeva alle donne il diritto di voto; era anche la stagione-incubatric­e della nuova musica e per la prima volta molte ragazze stavano tentando sentieri diversi.

Il successo, però, arrise a poche:

quando nell’80 c’è stata una reunion sul palco delle Sweetheart­s non ha partecipat­o, «anche se», ha raccontato una delle sue figlie, «è stata al concerto ed è uscita dalla sala in lacrime». Intanto tante ex “colleghe” erano diventate famose: non solo le grandi vocalist Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Nina Simone; ma anche pianiste come Mary Lou Williams, Shirley Horn, Marian McPartland, Toshiko Akiyoshi, Diana Krall; sassofonis­te come Jane Ira Bloom, Ann Patterson (sua una big band tutta-donne); e ancora, la violinista Regina Carter, le batteriste Marilyn Mazur e Terri Lyne Carrington, la conduttric­e Maria Schneider e tante altre. Storie a sé meriterebb­ero Alice McLeod Coltrane, arpista e pianista che ha poi proseguito negli studi esoterici intrapresi dal suo celeberrim­o marito; e Carla Bley, 84enne e sempre attivissim­a: pianista, compositri­ce, band-leader, che a partire dai primi Anni 60 è sempre stata al centro delle avanguardi­e.

A loro e non solo è stato dedicato nel 2011 da Judy Chaikin un memorabile docu-film intitolato The Girls in the Band. Oggi l’altra metà del jazz conta su una nuova leva agguerriti­ssima e spesso contaminat­a da altre formule: i nomi sono quelli di Esperanza Spalding, Silvia Bolognesi e Linda Oh (basso), Nubya Garcia, Grace Kelly e Melissa Aldana (sax), Jazzmeia Horn (voce) – con tante sincere scuse per le non citate giovani e meno giovani protagonis­te di una scena in divenire. A Helen Jones Woods, l’ultima volta che comparve in pubblico per un dibattito organizzat­o dallo Smithsonia­n’s di Washington, fu chiesto se era valsa la pena di vivere il duro lavoro di musicista al femminile. Lei ci pensò un attimo: «Non so se ha pagato. Francament­e non ne ho guadagnato abbastanza per viverci».

 ??  ?? Il dottor Laurence Clifton Jones ha preso Helen Jones dal brefotrofi­o dove era stata abbandonat­a e l’ha cresciuta insieme alla moglie Grace. I coniugi hanno fondato la Piney Woods Country Life School, un istituto innovativo dedicato ai ragazzi di colore del Sud
Il dottor Laurence Clifton Jones ha preso Helen Jones dal brefotrofi­o dove era stata abbandonat­a e l’ha cresciuta insieme alla moglie Grace. I coniugi hanno fondato la Piney Woods Country Life School, un istituto innovativo dedicato ai ragazzi di colore del Sud
 ??  ?? Qui sopra, una scena di The Girls in the Band, il docu-film del 2011 che Judy Chaikin ha dedicato alle donne musiciste
Qui sopra, una scena di The Girls in the Band, il docu-film del 2011 che Judy Chaikin ha dedicato alle donne musiciste

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