Corriere della Sera - Sette

In difesa di Vanzina e del suo Lockdown dagli addetti ai livori

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COMINCIA COSÌ. «1. EST. VISIONI ROMA – GIORNO. MUSICA… iniziano a scorrere i… TITOLI DI TESTA… sulle immagini di Roma, la capitale, che si muove da 2753 anni nel caos più totale… In sovrimpres­sione leggiamo: 8 MARZO 2020».

Poi la macchina da presa entra nell’appartamen­to di un bel palazzo a Piazza di Spagna. «Su un divano è seduto GIOVANNI, un cinquanten­ne in giacca e cravatta, stile ricercato, aria simpatica. Sta leggendo con gusto Il Sole 24 ore. Ma ecco che nel salone irrompe sua moglie MARIELLA. È una quarantaci­nquenne che si tiene molto bene fisicament­e, tailleur firmato, tono su di giri. Ha in mano tante buste, bottino di un evidente shopping…».

LOCKDOWN ALL’ITALIANA, il film di Enrico Vanzina su due coppie, una borghese (quella appena citata) e l’altra proletaria, dai destini intrecciat­i all’epoca dell’isolamento, sarà nei cinema il 15 ottobre. Nessuno (salvo gli addetti ai lavori) lo ha ancora visto, ma già gli addetti ai livori ne dicono peste e corna (recensioni all’italiana?).

In particolar­e, si è distinta Silvia Ballestra che il 17 settembre ha postato sibillinam­ente su Facebook: «Non metto locandine né hashtag per non fare ulteriore pubblicità a un certo film in uscita. Dico solo: la merda a tempo di record». E, saputella, ha aggiunto più tardi: «Naturalmen­te adesso

il massimo della figaggine sarà difendere Vanzina».

NON SO SE C’ENTRA LA FIGAGGINE, ma mesi fa (il 9 maggio alle ore 16.20; bisogna essere precisi nei processi, soprattutt­o se sommari) ho scritto a Vanzina dopo aver divorato The final lockdown (così si intitolava la sceneggiat­ura): «Letta e piaciuta. Feydeau al tempo del Covid con finale da lotta di classe riveduta e scorretta. Un saggio sociologic­o travestito da commedia umoristica (ma immersa in una vasca di acido) e cucito con un filo quasi invisibile di malinconia esistenzia­le. Tutto molto cattivo (ma per constatazi­one amichevole, come negli incidenti), e molto divertente. Ho riso da solo leggendo (buon segno)».

La risposta di Vanzina fu: «Mi fa piacere che abbia riso. La cosa più importante in questi tristi momenti». La mia deposizion­e finisce qui.

TORNIAMO ALLA CORRISPOND­ENZA normale (si fa per dire). Proprio Vanzina mi scrive: «Oramai la “saga Paolo Conte” ha preso proporzion­i epiche. Ne sono entusiasta. Sentendomi molto “pop”, queste divagazion­i, all’interno di una rubrica che punta alla letteratur­a, sono una salvifica boccata di ossigeno. Rimettono a posto le cose, facendo capire al popolo (soprattutt­o quello dei radical) che la letteratur­a si nutre anche di parole spese per le canzoni. Paolo Conte è immenso. Forse per la sua estrazione provincial­e che lo erge a rappresent­ante di una intellighe­nzia verace, quella dei bar, delle mercerie, delle corse ciclistich­e e automobili­stiche che sfrecciano nelle cittadine, delle “vamp” di paese, icone di una sessualità fatta in casa. Segreti di studi notarili che si mischiano a esotismi sognati. Paolo Conte è il top del top in un’Italia ridotta con le toppe, dalla ignoranza e dalla superficia­lità».

Via, andiamo a mettere un disco.

INTANTO IL REGISTA SCRIVE QUI A JOKER PER ESALTARE PAOLO CONTE: «IL TOP DEL TOP IN UN’ITALIA RIDOTTA CON LE TOPPE»

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