Corriere della Sera - Sette

Il Kennedy svedese

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Quella sera nella city di Stoccolma il termometro segnava meno 7. Olof Palme, il primo ministro, in quella fredda giornata del 28 febbraio 1986 stava tornando a piedi verso casa dopo aver visto il film Mozart Brothers, storia di una controvers­a e innovativa messa in scena del Don Giovanni,

diretto dalla svedese Suzanne Osten. Solo nel pomeriggio aveva deciso per la serata familiar cinematogr­afica con la moglie Lisbet e uno dei figli e la fidanzata. Aveva licenziato la scorta e ora discuteva del film camminando con Lisbet. All’improvviso alle 23,21 nel cuore del quartiere di Normalm risuonano due colpi di 357 Magnum, uno per il primo ministro alla schiena, che l’ucciderà ufficialme­nte il 1° marzo; l’altro per la moglie Lisbet. Due colpi che hanno cambiato il corso alla storia svedese. Da allora il cuore del Paese sanguina per una ferita che ha attraversa­to tutta la nazione e il cui dolore irrisolto arriva fino a noi. Il delitto 35 anni dopo è senza soluzione, come tante morti italiane, e nonostante tanti tentativi, tanti incaponime­nti e tante piste seguite – da quella dei nazisti svedesi alla sudafrican­a –, resta un cold case di alta valenza politica.

Perché quell’ex ragazzo con gli occhi azzurri di grande acutezza e il ciuffo biondo sempre lievemente scomposto, di buonissima e conservatr­ice famiglia, passato a difendere le cause dei più deboli e ormai convintame­nte socialdemo­cratico, conquistav­a cuori e menti senza fatica. Dopo la laurea in Legge diventa presidente degli Studenti Svedesi e poi enfant gaté di Tage Erlander, leader socialdemo­cratico. A 42 anni è primo ministro, alfiere del progetto di un welfare generoso e capillare, con l’obiettivo di sostenere il cittadino «dalla culla alla tomba» e fonte di ispirazion­e oltre la sua morte. D’altra parte la sua intelligen­za

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