Virginia (Woolf) e Vanessa sorelle diverse divise dall’arte
Tre anni di differenza, caratteri opposti, la prima delle aristocratiche Stephen si dedicò alla pittura, apprezzò Gita al faro della minore ma ne parlò con una sorta di impazienza mista a tristezza. Di lei si ricorda uno splendido autoritratto «dagli occhi chiari»
Senza offesa, credo sia giusto rilevare come l’Inghilterra, fin dai primi secoli cristiani, poco abbia coltivato la pittura: pur tenendo presente quanto i grandi maestri di oltre Canale abbiano influito positivamente sugli arsicci tentativi pittorici della verde Britannia. Chi infatti può dimenticare il pauroso fasto raggelato dei «costumi regali» della grande Elisabetta? Eppure qualche suo connazionale li avrà pur dipinti e lei, intelligente come era, chissà quanto ne era infastidita, specie quando la rivestivano di prodotti d’importazione francese. Ma, fortunatamente, eran nati i fratelli Van Eyck e, molto più tardi, il magnifico Pier Paolo Rubens e il raffinato Van Dvck.
Quietamente, come avviene nelle case ricche, la crisi della pittura inglese passò e i figli dei Lords impararono presto a infilarsi le camicie di raso bianco a merletti come con tanta grazia già facevano i giovani gentiluomini genovesi, perfetti cavalieri.
Poi tutto fu dimenticato, la Francia aiutando, con le sete fruscianti dei ricchi fermiers généraux e intanto l’Inghilterra cominciava a dipingere ladies incantevoli e scopriva la diabolica ironia di Hogarth moralista libertino.
Da allora il pittore inglese può fare quello che vuole, i Rossetti e Burne-Jones risalgono i secoli e le collegiali cominciano furiosamente ad acquerellare. Sbocciano fiori e pallidi volti di fanciulle in cuffiette ricamate. Sciogliere il colore nell’acqua è un amabile sacrilegio. Ecco i doni che le fidanzate offriranno allo sposo, contento che gli sia toccata una damina di compiuta educazione.
Ma gli anni passano, l’aria è cambiata, comanda anche in pittura l’ultima moda di Francia e le giovinette uscite di collegio guardano verso Parigi senza che nessuno vi si opponga. Le belle arti convengono alle belle donne anche a Londra. In casa Stephen due stupende ragazze stanno già scegliendo il loro mestiere. Vanessa nata nel 1879 già disegna vigorosamente; Virginia nata nel 1882 ha scelto, si direbbe, prima di nascere, la letteratura. Segue del resto la tradizione casalinga, Sir Leslie è uomo di cultura, gli amici di famiglia sono autori famosi. Virginia ha già cominciato a scrivere, soprattutto lettere a parenti e amici.
Ma: come dipinge Vanessa? Doveva essere, al tratto, molto personale ed egocentrica, un po’ rustica e spavalda ma studiava seriamente (lezioni ogni due giorni); lavorava col pittore Sargent, frequentava diversi giovani pittori: Lamb, John Rutherston. Gertjer, Duncan Grant. Organizzò un «Friday club» vagamente culturale, vinse il premio Sickert. Naturalmente si interessò all’arte francese, visitò l’Italia, la Grecia, la Spagna. Devota ammiratrice di Matisse al tempo della Seconda Esposizione postimpressionistica, le sue prime pitture sono rare, i suoi colori sono sommessi (oliva, ocra, rosso veneziano). Le forme sono rigorosamente semplificate, ridotte a piatti elementi geometrici spesso divisi da linee nere o blu scuro. Nel 1912 insieme a Duncan Grant subisce, come tutti, l’influenza dei Balletti Russi. Era il momento della sua liberazione nella vita privata, il suo linguaggio divenne più libero. Era come se Vanessa Bell (aveva sposato Clive Bell nel 1907) fosse moralmente obbligata a usare ogni esperienza possibile e impossibile esprimendosi in puro colore. Al pari di Duncan Grant, suo grande amico, raramente vagabondò in terre esotiche e immaginarie. La sua pennellata è come uno schiaffo, non aveva esitazioni e l’astrazione (orizzontali, verticali) la divertì. Questa fase non figurativa appare drammatica nelle sue vigorose composizioni in cui il collage è usato quasi esclusivamente. Come molte giovani donne aveva esordito solo dopo il matrimonio; il marito la incoraggiava a proseguire ed era critico e conoscitore.
A quarant’anni cominciò a dipingere a Londra e a Charleston nel Sussex, poi si trasferì a Cassis insieme ad alcuni pittori che ammirava, in ispecie Derain, Segonzac e Marchant. Ai suoi inizi parve risentire l’influenza di Munch ma le sue cose migliori sono le nature morte del tempo di Cassis. La sua ultima maniera è rappresentata da uno splendido autoritratto «dagli occhi chiari», dell’anno 1958, che Dunoyer de Segonzac descrisse come formato da un’emozione profonda ma contenuta da un vago senso di riconoscimento. Questo ricco disegno ricorda i bei ritratti nel 1911 di Lytton Strachey.
I rapporti fra le due sorelle Stephen furono caldi e un po’ burrascosi traducendo caratteri diversissimi. Le reazioni critiche di Vanessa erano alquanto imbarazzanti: pur riconoscendo la qualità, per esempio della Gita al faro ne parla con una specie d’impazienza non priva di tristezza. Vanessa era gaia di natura ma aveva anche i suoi momenti neri e si sentiva frustrata: a Londra – scrive – nessuno si accorge della mia assenza. Altrove la stessa osservazione è applicata malignamente alle vicende della sorella. La vecchia ferita della malattia di Virginia non si richiudeva. La sublime, l’eccezionale Virginia non cessò mai di essere per Vanessa una visionaria incurabile.