«GESTIRE LA FINE È DURA PER TUTTI»
«COME RICONOSCI CHE UNA CERTA EPOCA DELLA VITA SI STA CONCLUDENDO? COME AFFRONTI LA TRANSIZIONE? IL ROMANZO RACCONTA QUESTO. E VALE PURE PER LA BREXIT»
Con Jonathan Coe ci incontriamo via Skype: alle sue spalle, nello studio della casa londinese dove è in lockdown, una scaffalatura di libri in buon ordine e vinili davanti ai quali campeggia la marionetta dell’Orlando furioso dei Pupi, regalo di un viaggio in Sicilia. Mr. Coe, pare di vederla, nella stanza da teenager, ascoltare e riascoltare, al buio, le audiocassette di Wilder. Quale è stato il primo film che ha visto?
«La vita privata di Sherlock Holmes, uno dei suoi fiaschi maggiori. A quel tempo dipendevi dalla programmazione tv, poi bisognava aspettare le repliche». Sembra preistoria...
«Una biografia del regista nel 1977 diceva: immaginate se invece di leggere qui dei suoi film poteste andare in biblioteca a prenderli... Pareva fantascienza! Ora li guardi quando vuoi, sullo smartphone».
Qual è l’influenza wilderiana nei suoi romanzi?
«Quando gli scrittori parlano dell’influsso di altri autori sulle proprie pagine parlano dello stile, del linguaggio, dei personaggi. Non dicono mai abbastanza della struttura. Al contrario, è proprio a questa che i lettori dei romanzi, quanto gli spettatori dei film, reagiscono in modo emotivamente, nel profondo. Pensi a L’appartamento: al modo in cui lo sviluppo narrativo si aggroviglia, poi diverge, poi converge, in cui i personaggi entrano in contrasto e poi confluiscono verso la fine. È architettonicamente bello. E poi c’è il ritmo dei suoi dialoghi... Bisogna ringraziare i suoi co-sceneggiatori come Charles Brackett e Iz Diamond. Wilder era immigrato dall’Austria, il suo inglese era imperfetto».
Nel romanzo, Wilder e l’amico Diamond si confrontano su quanto umorismo vada messo in Fedora. È una riflessione che capita di fare anche a lei?
«Quando usi l’ironia nelle tue opere a un certo punta una vocina ti dice: non è che poi la gente non ti prende sul serio? Mi è successo scrivendo La pioggia prima che cada. Decisi: niente umorismo. Oggi penso che manchi di luce. Per Fedora era lo stesso. Credo che l’importante sia mantenere il giusto equilibrio: libri e film non diventano più profondi se mancano di spirito».
Uno dei temi del libro è la “transizione”: per Wilder
fra un glorioso passato e un presente da pensionato, per Calista fra il prima da madre e musicista e il poi con figlie adulte e carriera al termine. In mezzo il “momento” in cui si realizza il passaggio.
«La vita è fatta proprio di questi momenti. Si sviluppa in fasi. Il libro è su questo: come riconosci che un certo tempo della tua vita sta finendo? Come gestisci la transizione? Il corso naturale delle cose non si contrasta. Wilder e Calista cercano di fare ancora un tentativo prima di prenderne atto. Io sono nello stesso loro momento: le mie due figlie (come Calista, ndr) sono cresciute, per me il tempo della paternità è finito. Devo immaginare un nuovo modo di vivere. Non è facile». Com’è stata la sua paternità?
«Non c’è un legame intenso quanto quello della mamma. Ma sono stato molto vicino a loro. All’inizio ne ero spaventato, e non mi aspettavo granché. Invece mi ha reso più ricco, mi sono preoccupato meno di mostrare i sentimenti. E si è visto nella mia scrittura». Allora come sta gestendo la sua “transizione”?
«Penso che la cosa importante sia guardare al futuro. Molti personaggi dei miei libri – come Benjamin Trotter ne La banda dei Brocchi e Middle England – sono troppo intrappolati nel proprio passato. Nella vita privata come in politica ho capito che la nostalgia può essere seduttiva ma anche assai pericolosa. Assecondarla non è un buon modo di vivere la propria vita».
Con la Brexit – a cui lei si è opposto –, per una parte dei britannici la nostalgia rischia di essere verso il tempo in cui eravate “europei”. Come se ne esce?
«Inutile continuare a lamentarsene. Indietro non si tornerà, almeno non durante la mia vita. Chi è come me deve trovare un nuovo modo di entrare in “relazione” col resto d’Europa. Non taglieremo certo le nostre radici europee. Ma è un momento difficile, reso più complesso dal Covid che ci allontana. Brexit è uno di questi momenti decisivi di passaggio: dovremo trovare un nuovo modo di essere. Anche quando il cambiamento è in peggio, non si può tornare indietro».
C’è un’altra transizione, nel libro: fra i vecchi registi come Wilder e i nuovi “barbuti”, così li chiama,
«SIAMO USCITI DALL’EUROPA? SMETTIAMOLA DI LAMENTARCI E TROVIAMO UN NUOVO MODO DI ESSERE. INDIETRO NON SI TORNA, ANCHE SE SI CAMBIA IN PEGGIO»