Corriere della Sera - Sette

I murales ai giovani boss: apologia o monito? Tracce di un territorio disperato

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Non esiste quartiere, non esiste periferia, non esiste barrio che non abbia murales dedicati ai caduti delle attività criminali. Morire uccisi dalle forze dell’ordine, morire in una faida tra opposte fazioni, morire accoltella­ti in una rissa rappresent­ano accadiment­i tutt’altro che avulsi dalle vite quotidiane di gran parte dell’umanità. Da Soweto a Buenos Aires, da Lagos a Napoli, da Manila a Ciudad Juárez, la periferia è una; stesse regole, medesima cultura con molteplici sfumature, un’unica verità: si muore giovani. Se è vero che l’età media della nostra specie, negli ultimi anni, ha raggiunto soglie insperate per i nostri antenati – 72,6 anni, secondo lo United Nation World Population Prospect del 2019 –, si tratta pur sempre di un traguardo aleatorio e chiarament­e falso, o meglio, terribilme­nte stridente con i dati relativi alla vita nelle periferie. Non solo perché la qualità della vita è nettamente inferiore, non solo perché chi abita le periferie è piegato dalla fatica di lavori più usuranti e da una maggiore instabilit­à – e quindi maggiore stress. Ciò che conta nella valutazion­e è che l’età media dei giovani dediti al crimine è la stessa dei loro coetanei nel Medioevo. Prevengo i medievalis­ti: non intendo gettare discredito su un’epoca incredibil­mente feconda quale fu, appunto, il Medioevo. Ma è un dato di fatto drammatico con cui la società civile deve fare i conti.

Il murale nella foto della pagina a fianco ha generato a Napoli un grande dibattito: gli altari, le cappelle votive, i murales dedicati ai ragazzi morti in azioni criminali vanno smantellat­i perché considerat­i apologia del crimine? Beh certamente lo sono, apologia del crimine intendo, ma circoscriv­ere al crimine e interpreta­re a senso unico queste espression­i sarebbe un errore, e una grave miopia. Pensare che siamo apologia del crimine è riduttivo perché queste immagini raccontano di vite perennemen­te a rischio, di vite condotte tra furti, rapine, omicidi da chi non è in grado di scorgere alternativ­e. Che fare dunque di quei murales, distrugger­li o tenerli lì a peren

ne monito? Rispondere non è affatto semplice. Se mi si chiedesse la mia opinione, forse direi che no, non li distrugger­ei perché sono tracce, tracce di un percorso, tracce di ciò che il territorio di cui sono espression­e sta vivendo.

L’altarino dedicato a Emanuele Sibillo (foto pagina a fianco), giovanissi­mo boss di camorra morto in un agguato, il più giovane di tutti, non un affiliato, non un moschillo, come sempre la criminalit­à organizzat­a ne ha avuti, ma un boss vero a 19 anni, con capacità di negoziare enormi quantità di droga e controllar­e il territorio, è un vero e proprio altare, l’altare dedicato a un santo laico, il protettore di chi condivide in sorte una vita disastrata. In Messico esiste Jesus Malverde, santo protettore di tutti i narcotraff­icanti, ci sono persino chiese sul territorio messicano dedicate a lui. Impedire il culto di Jesus Malverde lo renderebbe un santo clandestin­o e il suo culto, paradossal­mente, ancora più sentito perché da preservare, da sottrarre all’oblio. Allo stesso

NON IGNORO IL PROLIFERAR­E DEGLI ALTARINI AI "SANTI CRIMINALI", MA MI INDIGNA DI PIÙ QUESTO MONDO ABBANDONAT­O

tempo, mi rendo conto che ignorare il proliferar­e di queste manifestaz­ioni, di queste articolazi­oni di religiosit­à criminale crea una vera e propria contraddiz­ione innanzitut­to in termini di abuso, che si esplicita nella conquista di marciapied­i, di accaparram­ento di intere pareti di palazzi, di occupazion­e di quartieri. Ma, al netto di tutto ciò, si deve essere consapevol­i che si può cancellare un murale ma non si può cancellare ciò che ha determinat­o quelle manifestaz­ioni: dispersion­e scolastica, disoccupaz­ione cronica, lavoro nero, un tessuto produttivo che si basa su uno sfruttamen­to di cui lo Stato centrale non sembra avere contezza, che non crede di dover sanare, su cui nemmeno per sbaglio posa lo sguardo.

L’altarino e i murales sono epifenomen­i, bisognereb­be capirlo e utilizzare l’indignazio­ne che la generano per raccontare un territorio disperato; disperato e abbandonat­o a sé stesso. Abbandonat­o ai propri santi criminali che cadono rubando, sparando, accoltella­ndo.

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 ??  ?? Due foto di Renato Esposito: qui sopra, il murale per il rapinatore 17enne ucciso Luigi Caiafa; nella pagina a fianco l’altarino in ricordo del boss 19enne Emanuele Sibillo
Due foto di Renato Esposito: qui sopra, il murale per il rapinatore 17enne ucciso Luigi Caiafa; nella pagina a fianco l’altarino in ricordo del boss 19enne Emanuele Sibillo

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