L’ESERCIZIO DELLA RISONANZA NEL MONDO POST COVID
Se avete amici a Londra e Bruxelles provate a chiedere ai primi che cosa pensino oggi dell’Unione Europea e ai secondi che effetto stia facendo loro il successo crescente di Boris Johnson nella navigazione della pandemia. Dal Regno vi diranno che la comunità continentale si è dimostrata quell’organizzazione «autoritaria e inetta, se non malvagia» che i sostenitori della Brexit descrivevano con foga. Dai Palazzi stellati di Bruxelles replicheranno che BoJo ha imboccato «una rotta da corsaro», essendosi trovato in estrema emergenza nella fase uno, per trasformare «una disfatta di gestione politica in un trionfo vaccinale».
Tra le due sponde della Manica è partito – e non finito – uno scambio di artiglieria diplomatica pesante: l’Unione accusa Uk di aver praticato un prevedibile nazionalismo delle dosi e avverte che in futuro si sentirà legittimata a concentrarsi sui propri cittadini. In pezzi è finito un codice di reciprocità e proporzionalità (e amicizia) che credevamo scritto nelle nostre storie, più radicato – immaginavamo – di quel 52 a 48% depositato nelle urne referendarie del giugno 2016. La tragedia del Covid ha invece tracciato in Europa una ferita geopolitica drammatica, di cui stentiamo a ragionare fino in fondo perché siamo ancora davanti al muro dell’incertezza domestica. Fatichiamo a capire quando verranno vaccinati i cinquantenni lombardi. E non osiamo sollevare lo sguardo per intravedere la stagione dell’immunità che metterà al riparo anche adolescenti e bambini.
Ma non appena riusciremo a respirare oltre la paura individuale e collettiva, dovremo ricucire un tessuto di asimmetrie
OLTRE LE MISURE ECONOMICHE, SARÀ LA QUALITÀ DELLE RELAZIONI A SALVARCI O PERDERCI
senza precedenti. Ci saranno – già ci sono – i Paesi che ne sono usciti prima e quelli che sopravvivono congelati. All’interno dello stesso Paese andranno a delinearsi categorie economiche devastate, altre che avranno mantenuto uno standard quasi immutato con meno spese sul conto corrente, alcune più fortunate che saranno magari riuscite a incrementare le proprie ricchezze e prospettive d’impresa. E all’interno di quelle stesse categorie sta crescendo un aspro confronto ravvicinato tra persone che hanno avuto accesso presto al vaccino (per ragioni non solo di età e fragilità) e persone che sanno di essere esposte al virus senza poter contare su un’uscita dal rischio segnata sul calendario.
Su tutto e tutti calerà poi una linea d’ombra che dividerà quanti avranno perduto affetti essenziali, nello strazio di non poter celebrare almeno il rito consolatorio degli addii, e quanti con sollievo potranno contare danni esistenziali limitati.
Un’accelerazione delle disparità ci accompagnerà nel dopo pandemia, quando andranno a spegnersi le misure di contenimento. Non basterà il pacchetto di trasferimenti e investimenti previsto da Next Generation Ue per la prima ondata. Non basterà neppure il raddoppio di quel tesoro comune. Sarà la qualità delle relazioni, su ogni piano di vita, a salvarci o perderci. Dovremo con consapevolezza coltivare la risonanza, così come viene descritta dal sociologo Hartmut Rosa, quale esercizio per accordare le nostre voci prima ammutolite dal distanziamento e ora alterate dai risentimenti.