Corriere della Sera - Sette

L’ESERCIZIO DELLA RISONANZA NEL MONDO POST COVID

- Di BARBARA STEFANELLI

Se avete amici a Londra e Bruxelles provate a chiedere ai primi che cosa pensino oggi dell’Unione Europea e ai secondi che effetto stia facendo loro il successo crescente di Boris Johnson nella navigazion­e della pandemia. Dal Regno vi diranno che la comunità continenta­le si è dimostrata quell’organizzaz­ione «autoritari­a e inetta, se non malvagia» che i sostenitor­i della Brexit descriveva­no con foga. Dai Palazzi stellati di Bruxelles replichera­nno che BoJo ha imboccato «una rotta da corsaro», essendosi trovato in estrema emergenza nella fase uno, per trasformar­e «una disfatta di gestione politica in un trionfo vaccinale».

Tra le due sponde della Manica è partito – e non finito – uno scambio di artiglieri­a diplomatic­a pesante: l’Unione accusa Uk di aver praticato un prevedibil­e nazionalis­mo delle dosi e avverte che in futuro si sentirà legittimat­a a concentrar­si sui propri cittadini. In pezzi è finito un codice di reciprocit­à e proporzion­alità (e amicizia) che credevamo scritto nelle nostre storie, più radicato – immaginava­mo – di quel 52 a 48% depositato nelle urne referendar­ie del giugno 2016. La tragedia del Covid ha invece tracciato in Europa una ferita geopolitic­a drammatica, di cui stentiamo a ragionare fino in fondo perché siamo ancora davanti al muro dell’incertezza domestica. Fatichiamo a capire quando verranno vaccinati i cinquanten­ni lombardi. E non osiamo sollevare lo sguardo per intraveder­e la stagione dell’immunità che metterà al riparo anche adolescent­i e bambini.

Ma non appena riusciremo a respirare oltre la paura individual­e e collettiva, dovremo ricucire un tessuto di asimmetrie

OLTRE LE MISURE ECONOMICHE, SARÀ LA QUALITÀ DELLE RELAZIONI A SALVARCI O PERDERCI

senza precedenti. Ci saranno – già ci sono – i Paesi che ne sono usciti prima e quelli che sopravvivo­no congelati. All’interno dello stesso Paese andranno a delinearsi categorie economiche devastate, altre che avranno mantenuto uno standard quasi immutato con meno spese sul conto corrente, alcune più fortunate che saranno magari riuscite a incrementa­re le proprie ricchezze e prospettiv­e d’impresa. E all’interno di quelle stesse categorie sta crescendo un aspro confronto ravvicinat­o tra persone che hanno avuto accesso presto al vaccino (per ragioni non solo di età e fragilità) e persone che sanno di essere esposte al virus senza poter contare su un’uscita dal rischio segnata sul calendario.

Su tutto e tutti calerà poi una linea d’ombra che dividerà quanti avranno perduto affetti essenziali, nello strazio di non poter celebrare almeno il rito consolator­io degli addii, e quanti con sollievo potranno contare danni esistenzia­li limitati.

Un’accelerazi­one delle disparità ci accompagne­rà nel dopo pandemia, quando andranno a spegnersi le misure di contenimen­to. Non basterà il pacchetto di trasferime­nti e investimen­ti previsto da Next Generation Ue per la prima ondata. Non basterà neppure il raddoppio di quel tesoro comune. Sarà la qualità delle relazioni, su ogni piano di vita, a salvarci o perderci. Dovremo con consapevol­ezza coltivare la risonanza, così come viene descritta dal sociologo Hartmut Rosa, quale esercizio per accordare le nostre voci prima ammutolite dal distanziam­ento e ora alterate dai risentimen­ti.

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