Corriere della Sera - Sette

«LA TELECAMERA SPENTA È L’INIZIO

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è la persona nel suo concreto darsi che detta la novità dell’agire educativo, e vi assicuro che telecamera e microfono erano accesissim­i, perché accesi sono loro quando sono contenti di essere guardati e ascoltati).

Nella vita scolastica ordinaria occuparsi così di ciascuno sarebbe possibile se solo non dovessimo perdere tempo in mille pratiche burocratic­he, non fossimo malati di “supplentit­e” e non dovessimo fare altri lavori per arrotondar­e. Solo così noi maestri potremmo dare a tutti il massimo e a ciascuno ciò che gli serve, con un ritorno di senso che ci eviterebbe di essere la categoria a più alto tasso di burnout nel Paese.

Solo chi sa amare inventa

A scuola è il messaggio che fa il mezzo e non il contrario, perché è la relazione che fa la didattica e la didattica è il luogo del suo incarnarsi. La DAD è stata spesso il necrologio digitale di una scuola in cui i ragazzi erano assenti anche in presenza; ha invece funzionato se la “materia” si incarnava nelle loro vite. Faccio un esempio: con la mia classe di primo anno abbiamo letto integralme­nte l’Odissea ad alta voce. Ogni ragazzo, dovendo interpreta­re un personaggi­o, non poteva sottrarsi alla telecamera e al microfono. I miei quattordic­enni, confinati nelle loro camere, hanno “vissuto” l’Odissea, poema nato proprio per voce e ascolto, e non lo dimentiche­ranno mai. La didattica funziona solo quando è una branca della drammaturg­ia: il maestro e i discepoli incarnano la materia, vanno in scena e rischiano, affrontano insieme il mondo in cui è dato loro vivere, anche quello pandemico.

«Chi non sa fare insegna», si dice ironicamen­te, ma in realtà «solo chi sa fare insegna» perché «solo chi sa amare inventa». Se la scuola fosse ascoltare conferenze da ripetere poi in una interrogaz­ione, nessuno si sarebbe lamentato della DAD e da anni avremmo trasformat­o l’insegnamen­to in un contenitor­e online da fruire comodament­e. Ma l’apprendime­nto è “dramma”, si fa solo in scena, ogni

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