Il Covid visto da Chinatown
Francesco Wu è commerciante e ristoratore, presidente onorario dell’Unione Imprenditori Italia-Cina e membro del direttivo della Confcommercio di Milano. Dei prezzi pagati dalle comunità cinesi al virus in termini numerici si sa molto poco, non ci sono statistiche. È uscito un racconto scritto da Lala Hu, docente alla Cattolica di Milano, e poco altro. «Un anno fa ci siamo mossi prima ed abbiamo chiuso in anticipo negozi e ristoranti prima che ce lo chiedessero le autorità», dice Wu. «Poi con il passare dei mesi l’attenzione è scemata anche tra noi. Come nel resto del Paese sono state scoperte feste private anche nella comunità cinese».
La seconda ondata è stata più pesante: tanti casi di morte che hanno colpito principalmente la fascia d’età tra i 50 e i 70 anni. Le attività economiche, cuore delle Chinatown, ne hanno risentito. «Diversi imprenditori hanno chiuso e gli investimenti si sono raffreddati. Fortunatamente anche le nostre imprese iscritte alle Camere di commercio hanno avuto i ristori, la Cig e il credito d’imposta per gli affitti come tutti quelli che ne avevano diritto». E nelle comuni difficoltà, sostiene Wu, si è rafforzata l’amicizia tra le persone, i gesti di solidarietà tra italiani e cinesi sono stati tantissimi, più in Italia che altrove.
Francesco confessa che si sarebbe aspettato l’Ambrogino d’oro per la comunità sino-milanese, perché tante persone hanno regalato ai propri vicini mascherine e fondi agli ospedali, ma non ne fa un dramma. Intanto l’economia in Cina è ripartita a V e questo favorisce gli imprenditori dell’import-export, «per bar e ristoranti non cambia niente ma abbiamo la possibilità di mandare gli anziani in Cina tutelandoli e i bambini a studiare».
Wu non ha difficoltà a palesare l’apprezzamento, politicamente neutrale, per Mario Draghi, «la nostra comunità ama le persone capaci e lui lo è». Nessuno nelle Chinatown si aspetta miracoli ma i cinesi d’Italia vorrebbero che il premier oltre ad affrontare l’emergenza mettesse in cantiere le riforme, l’unico modo per rilanciare il Paese, perché hanno capito anche loro «che l’Italia è un Paese che fatica a cambiare».
«Abbiamo i nostri contagiati e i nostri morti. Più nella seconda e nella terza ondata che nella prima e comunque tenete presente che l’età media dei cinesi che vivono in Italia è di 32-33 anni, pochi anziani e ottantenni».