2 CARRIERA
prio impegno nel lavoro? E quale tipo di messaggio dare ai figli che in questa fase di straordinario cambiamento stanno cercando la loro strada?
Domande cruciali
Si tratta di domande cruciali, nessuno può permettersi di sbagliare la risposta. Per cominciare vale la pena fare un piccolo passo indietro per capire come siamo arrivati fino a qui. In realtà pochi se ne sono accorti ma proprio nel momento della sua massima popolarità – gli Anni 80 – l’idea di carriera era già entrata in crisi. I percorsi lineari di crescita sono possibili nelle organizzazioni fordiste, con una struttura simile a una piramide. Qui più persone “comandi” sotto di te, più sei importante. Ma un lento processo di decostruzione del fordismo è iniziato già sul finire degli Anni 70. «A innescarlo l’eccessiva rigidità di questo modello a confronto con la lean production, la “produzione snella” inventata dai giapponesi» sintetizza Enzo Rullani, docente di Economia della conoscenza che ha analizzato l’impatto della digitalizzazione sull’impresa. «Insieme con le tensioni interne create dalle rivendicazioni dal basso e agli choc esterni come la crisi petrolifera».
Fatto sta che le aziende hanno cominciato a esternalizzare tutte le funzioni possibili. Il numero di grandi imprese, luoghi d’elezione per lo sviluppo delle carriere, si è ridotto. E non è un caso, quindi, che negli Anni 90 la figura a cui tendere sul lavoro sia passata dal manager all’imprenditore. Per i giovani, allo startupper. «Venute meno le grandi imprese, la struttura portante del nostro sistema produttivo sono diventate le medie imprese, che spesso però fanno fare all’esterno gran parte della produzione. Inevitabile che qui le possibilità di carriera si riducano. Nel contesto italiano, poi, la struttura produttiva è particolarmente frammentata», aggiunge Rullani. Nelle piccole aziende in pratica l’idea di carriera non è mai esistita. Sempre negli Anni 80 la specializzazione ha cominciato a non bastare più, si è capita l’importanza delle competenze trasversali per cui le aziende hanno cominciato a proporre ai dipendenti il passaggio da una funzione all’altra: dalla produzione, al marketing, dal marketing al commerciale. In pratica i dipendenti hanno cominciato a muoversi nelle organizzazioni in orizzontale invece che in verticale, il che significa spesso ricominciare tutto da capo, l’opposto della progressione lineare. Dagli Anni 90, poi, l’Italia ha vissuto una lunga fase di stagnazione. Ma la stagnazione non è certo il contesto ideale per lo sviluppo delle carriere. Tantomeno la crisi che si è sviluppata a partire di primi anni Duemila.
E arrivò la pandemia
È esattamente a questo punto della storia che è entrata in scena la pandemia. Con i dirigenti che negli ultimi undici anni – dal 2008 al 2019 – sono già diminuiti del 3 per cento, per oltre la metà concentrati tra Lombardia (50 mila) e Lazio (18 mila), segno che quel che resta
LA CRISI DELLA CARRIERA TRADIZIONALE NASCE CON LA FINE DEL MODELLO FORDISTA ANNI 80. A CHI CRESCE DI LIVELLO NEL SUO SETTORE LE AZIENDE PREFERISCONO FIGURE CHE RIPARTANO CAMBIANDO DA UN’AREA ALL’ALTRA
delle prospettive di crescita professionale è concentrato tra Roma e Milano.
«Oramai è definitivamente saltato il ex novo patto fiduciario tra l’azienda e il suo dipendente», constata Paolo Iacci, presidente di Aidp Promotion (Associazione per la direzione del personale) e docente di Gestione delle risorse umane alla Statale di Milano. È come se parte del rischio legato all’attività d’impresa si fosse trasferito sul dipendente stesso. Trasformandolo in una figura a metà tra il dipendente vecchia maniera