Corriere della Sera - Sette

I NUOVI MANAGER RETE, NON PIRAMIDE

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Carriera, lusso per pochi. Scommessa ad altissimo rischio. Questa equazione è diventata gradualmen­te sempre più vera a partire dagli Anni 90. Oggi c’è una novità. La crisi innescata dalla pandemia ha accelerato digitalizz­azione e smartworki­ng. Due processi che stanno mandando definitiva­mente in soffitta l’idea di carriera come l’avevamo concepita.

Quanto sta avvenendo è un pugno nello stomaco soprattutt­o per la classe dei cinquanten­ni cresciuti negli Anni 80, affascinat­i al cinema dai personaggi di Wall Street e

Una donna in carriera. Irriducibi­li che si sono aggrappati al mito della carriera in crisi, se non altro per non uscire dalla partita perdendo quanto già “investito” sotto forma di dedizione, impegno ed energie in trent’anni di lavoro. La prima cosa che hanno fatto le aziende travolte dallo tsunami della pandemia è stato proprio chiamare le prime linee dei dirigenti e “convincerl­i” ad auto-tagliarsi lo stipendio del 20-30 per cento in un colpo solo. Nessuna carriera può dirsi tale se non certificat­a da adeguata retribuzio­ne. Da notare: non è che negli ultimi anni i compensi dei manager avessero avuto performanc­e particolar­i. Anzi. Secondo un’indagine di Job pricing nei cinque anni che vanno dal 2015 al 2020 i manager hanno visto ridursi la retribuzio­ne dell’1,2% e si fermano oggi a una media di 103 mila euro lordi. Tutto sommato a chi si è tagliato lo stipendio non è andata poi così male. Il blocco dei licenziame­nti ancora in vigore, infatti, tutela tutti. Ad eccezione però dei manager.

Ora il punto diventa: da dove ripartire per dare un senso al pro

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