Corriere della Sera - Sette

Era una maratona Ora è surf, si cavalca un’onda dopo l’altra

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Carriera deriva dal latino carraria, una strada su cui potevano passare i carri. Dalla stessa radice derivano anche le parole corsa e percorso .Il lavoro di oggi può ancora essere una maratona lungo un tragitto predefinit­o? La risposta è no. In parte è un bene: Le maratone sono faticose, le strade senza bivi non offrono alternativ­e. In parte però è un male: non si sa bene dove andare né con che passo camminare.

La carriera tradiziona­le dava sicurezza, ma poteva anche diventare una gabbia a vita. Stipendio sicuro, tempi irreggimen­tati. Avanzament­i periodici, a volte promozioni. Ma poca varietà, poco aggiorname­nto. Il mondo del lavoro ha oggi meno catene, consente di calibrare meglio le esigenze di tempo e quelle di reddito, sta lentamente scalfendo le divisioni di genere. C’è una maggiore flessibili­tà di percorso e ci sono anche più percorsi. Passare da un’attività o da una impresa a un’altra, anche spesso, sta diventando la norma. Negli Stati Uniti, nei primi dieci anni dopo la laurea i giovani cambiano posto almeno quattro volte. I loro genitori cambiavano al massimo quattro volte in tutta la vita.

E in futuro? Forse dovremo abituarci a pensare alla carriera come a una sequenza di onde. Finita la scuola, ne prenderemo una e la cavalchere­mo fino a quando non s’infrange: quel posto, quell’attività avrà esaurito il suo potenziale. Aggiornere­mo le nostre competenze, magari ci prenderemo una pausa. Poi cercheremo un’altra onda da cavalcare, e così via.

Certo, il surf è pericoloso. Per questo avremo bisogno di salvagenti, di servizi e di tutor che ci assistano e ci segnalino le onde “buone”. E poi, chissà: chi volesse fare il surf vero (oppure riposare sulla spiaggia) invece di lavorare, potrebbe ricevere dallo Stato un reddito di base senza condizioni. Un’utopia, per ora: ma non del tutto irrealizza­bile. e l’autonomo. Sempre pronto (o talvolta costretto) a cambiare “padrone” a seconda delle pulsioni del mercato.

In prospettiv­a lo smartworki­ng non farà che accelerare questo processo. La natura di questo modo di lavorare, infatti, non sta tanto nel trovarsi a casa invece che in azienda ma nella possibilit­à che viene data al dipendente di autogestir­si e auto-organizzar­si in funzione di obiettivi concordati. Il risultato è che da una parte assistiamo a una polverizza­zione del lavoro, sempre meno aggregato nello stesso luogo. Dall’altra è come se ogni dipendente diventasse un po’ capo di sé stesso. E allora il manager che cosa ci sta a fare? «Il manager deve cambiare», risponde Iacci. «Abbandonar­e il ruolo di chi vigila su sottoposti a portata di sguardo e passare all’organizzaz­ione, coordiname­nto e motivazion­e di persone che stanno lavorando a distanza».

A stravolger­e definitiva­mente il paradigma della carriera c’è anche la trasformaz­ione epocale legata alla digitalizz­azione (di cui anche lo smartworki­ng è in qualche modo un effetto). «Nella società digitale cambia completame­nte la filosofia del management, prima basata su ordine e fedeltà, ora su condivisio­ne e intraprend­enza», va al punto Enzo Rullani. «Con il tempo sempre più i lavori semplici e ripetitivi saranno svolti dalle macchine. È come se il manager/ generale di un’azienda/esercito a un certo punto scoprisse di non avere più sotto di sé una truppa di soldati semplici ma soltanto tanti sergenti e colonnelli. La struttura delle organizzaz­ioni non è più a piramide ma a rete. Questo non significa che i generali non servano più. Ma cambia radicalmen­te la loro funzione».

I manager a chiamata

Chi è in ruoli di responsabi­lità dovrà sempre più governare la complessit­à. E gestire alti e bassi. Come dire: i periodi da generale potrebbero alternarsi a quelli da colonnello. Già oggi il turn over dei dirigenti è altissimo, in media ogni anno il 12% perde la qualifica e viene rimpiazzat­o. In crescita anche il fenomeno del temporary management, i manager a chiamata. Questo contesto richiede stabilità e solidità personale

SMARTWORKI­NG E DIGITALIZZ­AZIONE ACCELERANO I CAMBIAMENT­I: OGNI DIPENDENTE È UN PO’ CAPO DI SÉ STESSO

e anche capacità di trovare da soli un senso al percorso che si sta facendo. Un passaggio tutt’altro che scontato. «Dalle nostre osservazio­ni risulta sempre più frequente trovare persone tradite dalle aspettativ­e di carriera che abbinano all’attività primaria (irrinuncia­bile fonte di reddito) una seconda che invece garantisce senso e realizzazi­one», racconta la sociologa del lavoro della Cattolica Ivana Pais. E così c’è chi a tempo perso diventa cuoco a domicilio, trasforman­do un hobby in un lavoro, chi fa attività di

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