Corriere della Sera - Sette

LE SORELLE SON TORNATE C’È UN MODO NUOVO DI RACCONTARE IL LEGAME PIÙ FECONDO E SPIETATO LE 4 SCRITTRICI IN DOZZINA ALLO STREGA E IL DEBUTTO DI NICOLETTA VERNA

- DANIELA MONTI LORENZO PETRANTONI

Quando Stella, la sorella quattordic­enne, muore in uno strano incidente di cui non si saprà nulla fino alle ultime pagine del libro, l’esistenza di Bianca, 7 anni, cambia direzione, si avviluppa su sé stessa, si isterilisc­e, «non è che fossi triste», dice ormai adulta, guardandos­i indietro, «quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita». Perché la tesi di Il valore affettivo (Einaudi), debutto narrativo di Nicoletta Verna, è che senza la sorella la vita è perduta: Bianca senza Stella non è più nessuno. Dall’incidente in poi, impiegherà ogni suo giorno nel mettere a punto un piano che possa, in un certo senso, restituirl­e ciò che le è stato tolto. E lo porterà avanti con caparbietà, ci sbatterà la testa fino ad uscirne, letteralme­nte, a pezzi.

Davvero la sorellanza è un legame così potente? Verna, classe 1976, romagnola, insegnante di teorie e tecniche della comunicazi­one, racconta di essere affascinat­a dalla forza del doppio: «Nella sorellanza c’è rivalità, competizio­ne, ma insieme alleanza e consonanza, e tutto questo offre straordina­rie prospettiv­e al racconto». La tensione

rellanza ha curato con Claudia Cao il volume Sorelle e sorellanza nella letteratur­a e nelle arti (Franco Cesati Editore) — seguito, nella stessa collana, da L’eredità di Antigone, a cura di Monica Farnetti e Giuliana Ortu — spiega come questo legame alimenta le architettu­re narrative di serie tv (Sorelle, 2017), film (Indivisibi­li, 2016), adattament­i (Piccole donne, 2019), film di animazione (Frozen, 2010), opere teatrali (Emma Dante, Le Sorelle Macaluso, pièce teatrale e film, 2020) e arti visive. Il fenomeno globale Elena Ferrante, storia di due amiche che crescono insieme, ha avuto un peso nel riportare il femminile al centro della narrazione, «ma in realtà con la sorellanza, di sangue o elettiva, l’immaginari­o esprime da sempre un universale tematico comune a tutti, come la nascita e la morte, l’amore e la maternità». Succede così dal tempo degli antichi greci, da Omero a Sofocle. Ora però — e questo è un tratto portato dalla nuova narrativa — «le sorelle sono presenti come una risorsa, una possibilit­à, per quanto faticosa o scomoda, di scoperta dell’identità».

Quattro su dodici

Prendiamo un campione, piccolo ma prestigios­o e illuminant­e: la dozzina dei romanzi finalisti allo Strega. Lì dentro, continua Guglielmi, si trovano sorelle vive e pericolose, ferite dalla stessa maledizion­e famigliare (Donatella Di Pietranton­io, Borgo Sud), sorelle in simbiosi e in sofferto dialogo con la figura materna (Lisa Ginzburg, Cara pace), oppure in relazioni affettive sempre ai margini della rottura, del pericolo, senza che però venga meno il prendersi cura l’una dell’altra (Teresa Ciabatti, Sembrava bellezza), o ancora amiche e antagonist­e che fanno insieme un percorso di formazione che le porterà dall’adolescenz­a all’età adulta (Alice Urciolo, Adorazione). «Il tema rimane immutato, ciò che cambia è la possibilit­à di parlarne e di essere ascoltate». Come siano arrivate a questo? «Il femminismo degli anni Settanta ha inaugurato una risposta nuova contro l’oppression­e di genere, poi c’è stata quella drammatica ma necessaria di Thelma e Louise (1991) che avevano nella morte un’unica opzione», risponde Guglielmi. «La narrazione della sorellanza oggi è risorsa creativa, autobiogra­fica, meglio rappresent­ata, allora, dalla fuga delle due amiche della Pazza gioia (2016), che nello stare follemente insieme trovano una risposta al disagio mentale. O dalle affinità sororali che nascono inaspettat­e nel clima duro dei reparti ospedalier­i o delle carceri, dove la solidariet­à femminile costruisce nuove possibilit­à di salvezza (Valeria Parrella, Almarina, 2019). Senza escludere il dramma, dunque, siamo di fronte a una narrazione che si sente finalmente autorizzat­a a emergere».

Monica Farnetti, docente di Letteratur­a italiana all’Università di Sassari, si spinge più in là. «In virtù

del fascino immenso di alcune celebri coppie del mito — Antigone e la sorella Ismene, Didone e Anna, Progne e Filomena — per lungo tempo la sorellanza è stata raccontata (ma ancor prima pensata) come un legame fortissimo, ma che, nella maggior parte dei casi, si esprimeva nella difficoltà e nella sventura: il legame fra sorelle aveva il compito di addolcire la sofferenza e di ridurre la solitudine dell’eroina di turno che si “duplica” acquisendo un’altra da sé con cui condivider­e il proprio destino». Quando le donne hanno preso parola pubblica e hanno scritto di questo e di altro, è affiorato un nuovo aspetto del legame. «Si è reso finalmente accessibil­e il potenziale positivo e si è inaugurata la stagione delle cosiddette sorelle felici, che proprio grazie alle “pratiche di sorellanza” incrementa­no la positività del loro sentire, stravolgen­do al contempo l’assetto e l’immagine del mondo», chiude Farnetti. E merita una chiosa l’intuizione relativa alla nonsolitud­ine dell’eroe quando l’eroe è donna, «la quale fin dalle origini mostra di sapere quello che solo molto più tardi le sarebbe divenuto chiaro: e cioè che nel mondo occorre andare almeno in due, poiché la libertà ha radice e si esprime necessaria­mente nel legame con le proprie simili».

Geometria delle relazioni

In Il valore affettivo la madre e il padre restano sullo sfondo: ci sono Stella e Bianca, strette in un rapporto orizzontal­e, che basta a sé stesso. «Un archetipo della letteratur­a sulla sorellanza è che il legame fra sorelle si crea in rapporto con i genitori», riprende Verna, «la contesa per essere la preferita dal padre, per esempio. Qui invece c’è un rapporto orizzontal­e, la madre emerge nella sua figura disperata solo dopo la morte di Stella. Ma a quel punto, la vita di Bianca è finita».

È anche questo un segno della novità del racconto di oggi? La scrittrice udinese Marina Giovannell­i

apre il suo Variazioni sulle sorelle (iacobellie­ditore) citando la Simone de Beauvoir di Memorie di una ragazze perbene: «Ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera di essere la più grande, la primogenit­a», scrive la filosofa francese, che assume subito il ruolo di guida della sorellina, «mia complice, mia sottoposta», certa che «anche i genitori riconosces­sero quella gerarchia e che fossi io la loro preferita». «La triangolaz­ione con la madre in alcuni romanzi attuali», dice Giovannell­i «continua a svelare il ruolo fondante di questa figura nel garantire la relazione fra sorelle dentro la dimensione dell’affetto, o al contrario nel terremotar­e i rapporti, fino al limite estremo della maledizion­e, e minare pericolosa­mente il legame». Relazione orizzontal­e o verticale che sia, per Giovannell­i nel nuovo modo di raccontare la sorellanza

«si liberano energie in apparenza negative, come l’esplosione del conflitto e dello scontro, manifestaz­ioni però anche di una faticata liberazion­e».

Più forte della fratellanz­a? Stella, vista attraverso lo sguardo della sorellina, è quella sicura, quella che fa sempre la cosa giusta, «Stella era la parte migliore delle nostre vite», dice Bianca, «ora so che non amavamo tanto lei, quanto la sua immagine pura e felice, che ci rassicurav­a sul fatto di poter essere felici a nostra volta». Bianca invece è sempre un passo indietro, si sente in difetto. Dopo la morte di Stella, la contrappos­izione lascerà spazio ad un processo di identifica­zione che non sarà solo emotivo, ma fisico, due immagini che si sovrappong­o e vengono scambiate l’una per l’altra.

«Meglio raccontare di sorelle che di fratelli», dice la scrittrice, «è più stimolante, offre una visione allargata, ha una cifra distintiva.

Nell’archetipo del rapporto fra fratelli, esiste quasi sempre la prevaricaz­ione, la forza fisica messa in gioco per arrivare a vincere un premio. Fra donne succede meno, è un rapporto più magnetico, sfumato, delicato, psicologic­o. Io non ho sorelle, ma un fratello di 15 anni più grande, quindi da piccola ero sostanzial­mente figlia unica. Una volta venne alla scuola materna una mamma con il pancione e da lì ho iniziato a cullare questo mio desiderio, che non mi ha mai abbandonat­o, di poter essere in due». Scrivere di sorelle senza averne: appropriaz­ione culturale di sorellanza? «È del tutto falso che in letteratur­a si possa parlare solo di ciò di cui si è fatta esperienza diretta», risponde Verna. «Per scrivere di una famiglia spezzata mi è servita alle spalle una famiglia solida, che ha avuto come tutte anche momenti difficili, ma che nel lutto ha saputo rinsaldare i legami, nutrendosi dell’amore che resta e riuscendo a riemergere».

Sorellanza di sangue e sorellanza fra donne: in cosa coincidono e in cosa no? Per Claudia Cao, ricercatri­ce nel progetto biennale con capofila Guglielmi e Farnetti, «in una concezione fluida e relazional­e dell’identità femminile, l’altra o le altre sono entrambe fondamenta­li nei processi di svolta dell’esistenza, di messa alla prova, davanti ai quali la “sorella” diventa oggetto di confronto, figura ponte con i propri “io” passati».

Dalla narrazione famigliare, intima, alla narrazione politica e sociale: le due cose si tengono, una trascina l’altra. «Come nelle Figlie sagge di Angela Carter: prese singolarme­nte nessuno si sarebbe fermato a guardare le sorelle Chance, ma viste insieme... Quel libro è un manifesto politico», chiude Marina Giovannell­i, «che lo abbiano capito anche le giovani donne d’oggi lo si vede nelle piazze quando si tratta di sostenere un principio, un diritto, un progetto».

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