LE SORELLE SON TORNATE C’È UN MODO NUOVO DI RACCONTARE IL LEGAME PIÙ FECONDO E SPIETATO LE 4 SCRITTRICI IN DOZZINA ALLO STREGA E IL DEBUTTO DI NICOLETTA VERNA
Quando Stella, la sorella quattordicenne, muore in uno strano incidente di cui non si saprà nulla fino alle ultime pagine del libro, l’esistenza di Bianca, 7 anni, cambia direzione, si avviluppa su sé stessa, si isterilisce, «non è che fossi triste», dice ormai adulta, guardandosi indietro, «quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita». Perché la tesi di Il valore affettivo (Einaudi), debutto narrativo di Nicoletta Verna, è che senza la sorella la vita è perduta: Bianca senza Stella non è più nessuno. Dall’incidente in poi, impiegherà ogni suo giorno nel mettere a punto un piano che possa, in un certo senso, restituirle ciò che le è stato tolto. E lo porterà avanti con caparbietà, ci sbatterà la testa fino ad uscirne, letteralmente, a pezzi.
Davvero la sorellanza è un legame così potente? Verna, classe 1976, romagnola, insegnante di teorie e tecniche della comunicazione, racconta di essere affascinata dalla forza del doppio: «Nella sorellanza c’è rivalità, competizione, ma insieme alleanza e consonanza, e tutto questo offre straordinarie prospettive al racconto». La tensione
rellanza ha curato con Claudia Cao il volume Sorelle e sorellanza nella letteratura e nelle arti (Franco Cesati Editore) — seguito, nella stessa collana, da L’eredità di Antigone, a cura di Monica Farnetti e Giuliana Ortu — spiega come questo legame alimenta le architetture narrative di serie tv (Sorelle, 2017), film (Indivisibili, 2016), adattamenti (Piccole donne, 2019), film di animazione (Frozen, 2010), opere teatrali (Emma Dante, Le Sorelle Macaluso, pièce teatrale e film, 2020) e arti visive. Il fenomeno globale Elena Ferrante, storia di due amiche che crescono insieme, ha avuto un peso nel riportare il femminile al centro della narrazione, «ma in realtà con la sorellanza, di sangue o elettiva, l’immaginario esprime da sempre un universale tematico comune a tutti, come la nascita e la morte, l’amore e la maternità». Succede così dal tempo degli antichi greci, da Omero a Sofocle. Ora però — e questo è un tratto portato dalla nuova narrativa — «le sorelle sono presenti come una risorsa, una possibilità, per quanto faticosa o scomoda, di scoperta dell’identità».
Quattro su dodici
Prendiamo un campione, piccolo ma prestigioso e illuminante: la dozzina dei romanzi finalisti allo Strega. Lì dentro, continua Guglielmi, si trovano sorelle vive e pericolose, ferite dalla stessa maledizione famigliare (Donatella Di Pietrantonio, Borgo Sud), sorelle in simbiosi e in sofferto dialogo con la figura materna (Lisa Ginzburg, Cara pace), oppure in relazioni affettive sempre ai margini della rottura, del pericolo, senza che però venga meno il prendersi cura l’una dell’altra (Teresa Ciabatti, Sembrava bellezza), o ancora amiche e antagoniste che fanno insieme un percorso di formazione che le porterà dall’adolescenza all’età adulta (Alice Urciolo, Adorazione). «Il tema rimane immutato, ciò che cambia è la possibilità di parlarne e di essere ascoltate». Come siano arrivate a questo? «Il femminismo degli anni Settanta ha inaugurato una risposta nuova contro l’oppressione di genere, poi c’è stata quella drammatica ma necessaria di Thelma e Louise (1991) che avevano nella morte un’unica opzione», risponde Guglielmi. «La narrazione della sorellanza oggi è risorsa creativa, autobiografica, meglio rappresentata, allora, dalla fuga delle due amiche della Pazza gioia (2016), che nello stare follemente insieme trovano una risposta al disagio mentale. O dalle affinità sororali che nascono inaspettate nel clima duro dei reparti ospedalieri o delle carceri, dove la solidarietà femminile costruisce nuove possibilità di salvezza (Valeria Parrella, Almarina, 2019). Senza escludere il dramma, dunque, siamo di fronte a una narrazione che si sente finalmente autorizzata a emergere».
Monica Farnetti, docente di Letteratura italiana all’Università di Sassari, si spinge più in là. «In virtù
del fascino immenso di alcune celebri coppie del mito — Antigone e la sorella Ismene, Didone e Anna, Progne e Filomena — per lungo tempo la sorellanza è stata raccontata (ma ancor prima pensata) come un legame fortissimo, ma che, nella maggior parte dei casi, si esprimeva nella difficoltà e nella sventura: il legame fra sorelle aveva il compito di addolcire la sofferenza e di ridurre la solitudine dell’eroina di turno che si “duplica” acquisendo un’altra da sé con cui condividere il proprio destino». Quando le donne hanno preso parola pubblica e hanno scritto di questo e di altro, è affiorato un nuovo aspetto del legame. «Si è reso finalmente accessibile il potenziale positivo e si è inaugurata la stagione delle cosiddette sorelle felici, che proprio grazie alle “pratiche di sorellanza” incrementano la positività del loro sentire, stravolgendo al contempo l’assetto e l’immagine del mondo», chiude Farnetti. E merita una chiosa l’intuizione relativa alla nonsolitudine dell’eroe quando l’eroe è donna, «la quale fin dalle origini mostra di sapere quello che solo molto più tardi le sarebbe divenuto chiaro: e cioè che nel mondo occorre andare almeno in due, poiché la libertà ha radice e si esprime necessariamente nel legame con le proprie simili».
Geometria delle relazioni
In Il valore affettivo la madre e il padre restano sullo sfondo: ci sono Stella e Bianca, strette in un rapporto orizzontale, che basta a sé stesso. «Un archetipo della letteratura sulla sorellanza è che il legame fra sorelle si crea in rapporto con i genitori», riprende Verna, «la contesa per essere la preferita dal padre, per esempio. Qui invece c’è un rapporto orizzontale, la madre emerge nella sua figura disperata solo dopo la morte di Stella. Ma a quel punto, la vita di Bianca è finita».
È anche questo un segno della novità del racconto di oggi? La scrittrice udinese Marina Giovannelli
apre il suo Variazioni sulle sorelle (iacobellieditore) citando la Simone de Beauvoir di Memorie di una ragazze perbene: «Ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera di essere la più grande, la primogenita», scrive la filosofa francese, che assume subito il ruolo di guida della sorellina, «mia complice, mia sottoposta», certa che «anche i genitori riconoscessero quella gerarchia e che fossi io la loro preferita». «La triangolazione con la madre in alcuni romanzi attuali», dice Giovannelli «continua a svelare il ruolo fondante di questa figura nel garantire la relazione fra sorelle dentro la dimensione dell’affetto, o al contrario nel terremotare i rapporti, fino al limite estremo della maledizione, e minare pericolosamente il legame». Relazione orizzontale o verticale che sia, per Giovannelli nel nuovo modo di raccontare la sorellanza
«si liberano energie in apparenza negative, come l’esplosione del conflitto e dello scontro, manifestazioni però anche di una faticata liberazione».
Più forte della fratellanza? Stella, vista attraverso lo sguardo della sorellina, è quella sicura, quella che fa sempre la cosa giusta, «Stella era la parte migliore delle nostre vite», dice Bianca, «ora so che non amavamo tanto lei, quanto la sua immagine pura e felice, che ci rassicurava sul fatto di poter essere felici a nostra volta». Bianca invece è sempre un passo indietro, si sente in difetto. Dopo la morte di Stella, la contrapposizione lascerà spazio ad un processo di identificazione che non sarà solo emotivo, ma fisico, due immagini che si sovrappongo e vengono scambiate l’una per l’altra.
«Meglio raccontare di sorelle che di fratelli», dice la scrittrice, «è più stimolante, offre una visione allargata, ha una cifra distintiva.
Nell’archetipo del rapporto fra fratelli, esiste quasi sempre la prevaricazione, la forza fisica messa in gioco per arrivare a vincere un premio. Fra donne succede meno, è un rapporto più magnetico, sfumato, delicato, psicologico. Io non ho sorelle, ma un fratello di 15 anni più grande, quindi da piccola ero sostanzialmente figlia unica. Una volta venne alla scuola materna una mamma con il pancione e da lì ho iniziato a cullare questo mio desiderio, che non mi ha mai abbandonato, di poter essere in due». Scrivere di sorelle senza averne: appropriazione culturale di sorellanza? «È del tutto falso che in letteratura si possa parlare solo di ciò di cui si è fatta esperienza diretta», risponde Verna. «Per scrivere di una famiglia spezzata mi è servita alle spalle una famiglia solida, che ha avuto come tutte anche momenti difficili, ma che nel lutto ha saputo rinsaldare i legami, nutrendosi dell’amore che resta e riuscendo a riemergere».
Sorellanza di sangue e sorellanza fra donne: in cosa coincidono e in cosa no? Per Claudia Cao, ricercatrice nel progetto biennale con capofila Guglielmi e Farnetti, «in una concezione fluida e relazionale dell’identità femminile, l’altra o le altre sono entrambe fondamentali nei processi di svolta dell’esistenza, di messa alla prova, davanti ai quali la “sorella” diventa oggetto di confronto, figura ponte con i propri “io” passati».
Dalla narrazione famigliare, intima, alla narrazione politica e sociale: le due cose si tengono, una trascina l’altra. «Come nelle Figlie sagge di Angela Carter: prese singolarmente nessuno si sarebbe fermato a guardare le sorelle Chance, ma viste insieme... Quel libro è un manifesto politico», chiude Marina Giovannelli, «che lo abbiano capito anche le giovani donne d’oggi lo si vede nelle piazze quando si tratta di sostenere un principio, un diritto, un progetto».