Le tre parole di Eraclito in cerca della felicità
Ethos potremmo renderlo con «carattere»; anthropos è naturalmente l’essere umano, dunque ciascuno di noi; quanto a daimon, alla lettera significa «demone», ma qui si riferisce più precisamente al destino. Dunque: «Il carattere è per l’essere umano il destino» oppure, invertendo,«il destino è per l’essere umano il carattere»? In greco entrambe le traduzioni sono legittime (a differenza dell’italiano, le parole non occupano posizioni rigide nella frase), ma il senso cambia radicalmente. Nel primo caso Eraclito starebbe affermando che il nostro carattere, quello che siamo, è ciò che determinerà cosa succederà nella nostra vita (il nostro destino). E il carattere è qualcosa che dipende da noi, è come siamo nelle sfide che affrontiamo. Nel secondo caso è il contrario: in realtà è il destino che determina il nostro carattere, e dunque cosa sarà delle nostre esistenze. Il punto decisivo, insomma, riguarda il nostro carattere. Così una persona coraggiosa o impulsiva prenderà una decisione diversa da una persona prudente, negli snodi decisivi della propria vita. Ma il carattere, ciò che siamo e diventiamo, è qualcosa che dipende da noi o no?
Non è una domanda di poco conto, quando si capisce cosa è in gioco. Daimon rinvia in effetti anche a un’altra idea fondamentale, eu-daimonia. La felicità, in greco, significa letteralmente «buon (eu) demone». Essere assistiti dalla buona sorte, dal destino, insomma, ecco la condizione per una vita felice. E dunque: la possibilità di una vita felice è qualcosa che dipende da noi –èsudinoi che ricade la possibilità di costruire una vita felice – o è invece qualcosa che dipende dal caso, dal destino, dalla sorte?
In fondo, è il solito problema della libertà. Per noi è difficile rinunciare alla convinzione che siamo liberi, e in qualche modo padroni delle nostre scelte e dunque della nostra vita, nel bene o nel male. Così pensava già Aristotele (che infatti mal sopportava le ambiguità di Eraclito). La scoperta dell’inconscio, le nuove ricerche sul funzionamento del cervello, però, prospettano un quadro ben diverso, in cui molto di quello che facciamo e siamo dipende da fattori che sfuggono al nostro controllo. Senza dimenticare i condizionamenti sociali, che pure contano: un bambino che si abitua alla violenza, perché esposto alla violenza, fino a che punto è responsabile di quel che farà? Non è anche quello il daimon? Lo stesso Aristotele aveva dovuto riconoscere che un carattere, una volta che si è formato, è difficile cambiarlo (con quel che ne consegue): per questo l’educazione è così importante. A pensarci bene, anche nella nostra epoca così progredita è difficile sgomberare il campo da schemi di pensiero arcaici come quelli della tragedia greca, con i suoi eroi (Edipo, Medea, Antigone…) che cercano invano di sfuggire alla rete di un destino da cui non si può scampare. Troppo? O forse no? Eraclito continua a guardarci beffardo, nel suo silenzio imperscrutabile. Ma non è proprio compito del filosofo stimolare la riflessione? Per rispondere c’è tempo, e non si capisce se è una minaccia o una promessa.
Tre parole, e una frase che si può leggere in due modi, ugualmente corretti, con un significato completamente opposto. Come è tipico di Eraclito, l’amante delle verità nascoste. Intanto un tentativo di traduzione.