Corriere della Sera - Sette

Le tre parole di Eraclito in cerca della felicità

- Di MAURO BONAZZI

Ethos potremmo renderlo con «carattere»; anthropos è naturalmen­te l’essere umano, dunque ciascuno di noi; quanto a daimon, alla lettera significa «demone», ma qui si riferisce più precisamen­te al destino. Dunque: «Il carattere è per l’essere umano il destino» oppure, invertendo,«il destino è per l’essere umano il carattere»? In greco entrambe le traduzioni sono legittime (a differenza dell’italiano, le parole non occupano posizioni rigide nella frase), ma il senso cambia radicalmen­te. Nel primo caso Eraclito starebbe affermando che il nostro carattere, quello che siamo, è ciò che determiner­à cosa succederà nella nostra vita (il nostro destino). E il carattere è qualcosa che dipende da noi, è come siamo nelle sfide che affrontiam­o. Nel secondo caso è il contrario: in realtà è il destino che determina il nostro carattere, e dunque cosa sarà delle nostre esistenze. Il punto decisivo, insomma, riguarda il nostro carattere. Così una persona coraggiosa o impulsiva prenderà una decisione diversa da una persona prudente, negli snodi decisivi della propria vita. Ma il carattere, ciò che siamo e diventiamo, è qualcosa che dipende da noi o no?

Non è una domanda di poco conto, quando si capisce cosa è in gioco. Daimon rinvia in effetti anche a un’altra idea fondamenta­le, eu-daimonia. La felicità, in greco, significa letteralme­nte «buon (eu) demone». Essere assistiti dalla buona sorte, dal destino, insomma, ecco la condizione per una vita felice. E dunque: la possibilit­à di una vita felice è qualcosa che dipende da noi –èsudinoi che ricade la possibilit­à di costruire una vita felice – o è invece qualcosa che dipende dal caso, dal destino, dalla sorte?

In fondo, è il solito problema della libertà. Per noi è difficile rinunciare alla convinzion­e che siamo liberi, e in qualche modo padroni delle nostre scelte e dunque della nostra vita, nel bene o nel male. Così pensava già Aristotele (che infatti mal sopportava le ambiguità di Eraclito). La scoperta dell’inconscio, le nuove ricerche sul funzioname­nto del cervello, però, prospettan­o un quadro ben diverso, in cui molto di quello che facciamo e siamo dipende da fattori che sfuggono al nostro controllo. Senza dimenticar­e i condiziona­menti sociali, che pure contano: un bambino che si abitua alla violenza, perché esposto alla violenza, fino a che punto è responsabi­le di quel che farà? Non è anche quello il daimon? Lo stesso Aristotele aveva dovuto riconoscer­e che un carattere, una volta che si è formato, è difficile cambiarlo (con quel che ne consegue): per questo l’educazione è così importante. A pensarci bene, anche nella nostra epoca così progredita è difficile sgomberare il campo da schemi di pensiero arcaici come quelli della tragedia greca, con i suoi eroi (Edipo, Medea, Antigone…) che cercano invano di sfuggire alla rete di un destino da cui non si può scampare. Troppo? O forse no? Eraclito continua a guardarci beffardo, nel suo silenzio imperscrut­abile. Ma non è proprio compito del filosofo stimolare la riflession­e? Per rispondere c’è tempo, e non si capisce se è una minaccia o una promessa.

Tre parole, e una frase che si può leggere in due modi, ugualmente corretti, con un significat­o completame­nte opposto. Come è tipico di Eraclito, l’amante delle verità nascoste. Intanto un tentativo di traduzione.

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Eraclito di Efeso, tra i maggiori filosofi presocrati­ci dell’Antica Grecia, celebre per lo stile oracolare che lo rendeva oscuro

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