Corriere della Sera - Sette

DA GIANNINI

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conosciuto il papà di Camilla, ho cercato di dargli una mano in questo progetto: è un uomo di grande forza. Ho seguito con lui anche l’andamento dell’inchiesta, ho visto il lavoro di avvocati, pm, carabinier­i, procura. È una causa molto vicina al mio cuore: aiutare gli altri è un dovere, specialmen­te per chi può. Gli americani lo chiamano give back, è un’espression­e che mi piace, restituire qualcosa di quel che si è ricevuto dalla vita. Io ho ricevuto molto, cerco di restituire qualcosa. Sapendo che fa bene anche a me», spiega Frida Giannini.

Romana, 49 anni, una carriera straordina­ria da stilista tra Fendi e Gucci (di cui è stata direttore creativo per un decennio, record di durata del quale è orgogliosa), negli ultimi anni ha preso quello che nello sport si chiama timeout, una pausa, una sosta tra una parte e l’altra della partita. Ha fatto consulenze importanti senza apparire, volutament­e, per lavorare in pace, ha fatto colloqui importanti per marchi altrettant­o importanti in attesa di trovare il posto giusto per ripartire, per continuare a formulare la sua personale visione di bellezza e lusso.

In questi anni si è dedicata alla figlia Greta nata nel 2013 dal matrimonio – ora finito – con l’ex ad di Gucci Patrizio di Marco, «e nel frattempo mi sono messa a disposizio­ne di persone in cui credo per cause che ritengo doverose, come “partner in crime” perché parlare di terzo settore a volte fa un po’ paura, sembra che la solidariet­à sia qualcosa di strano, un ripiego invece di essere un dovere. Ci sono tanti

temi su cui lavorare, dallo stigma che ancora adesso in Italia avvolge certe situazioni come la depression­e, proprio quando la pandemia ha chiuso tutti in casa esacerband­o le difficoltà di milioni di italiani che si sentono sole in molte maniere diverse ma alla fine sempre nello stesso modo. Siamo i nipoti della guerra, alla nostra generazion­e è toccata questa, la guerra contro un virus, anche il linguaggio è lo stesso – il coprifuoco per esempio. Parlare aiuta, cercare qualcuno con cui confrontar­si aiuta, chiedere aiuto è umano e normale. Io ero andata in Malawi nel 2010 con l’Unicef e lì ho visto un modo di fare solidariet­à, lì ho capito che quando vedi questi bambini in condizioni terribili vorresti solo prenderli tutti in braccio e portarli via ma non si può, ci vuole un lavoro strutturat­o, e da allora ho trovato tante istituzion­i straordina­rie. Collaborar­e con Save the Children come parte del board in questi anni ha arricchito spiritualm­ente me, ho fatto quello che potevo, dare aiuto per la costruzion­e di un campo profughi al confine con la Giordania, un campo che non è solo utilissimo per i siriani ma è anche bello, bello davvero, perché anche nella difficoltà e nella povertà deve esserci bellezza, che è un bene essenziale. E poi disegnare una piccola collezione», che andò esaurita da Ovs, il maglione invernale con un tenero omino di neve sorridente tuttora molto indossato nelle scuole materne: a Frida chiedono in tanti quando ne disegnerà un’altra. E il “progetto Italia” tramite il quale c’è stata una donazione all’Italia di 4 mila tablet per studenti in didattica a distanza.

Frida ha un vantaggio: ha un’agenda straordina­ria, tutte le persone famose e non famose conosciuSo­theby’s

«Se trovo una fondazione benefica come il Centro italiano di solidariet­à di don Mario Picchi, che ha un magazzino pieno di opere d’arte sigillate e ferme, uso la mia rubrica per organizzar­e un’asta, e succede che da lì nasca una casa-famiglia per donne vittime di violenza»

te in trent’anni di lavoro. E ha un occhio da curatrice, dono di natura poi sviluppato costruendo la sua piccola, squisita collezione di fotografia.

«E allora se trovo una fondazione benefica come il Centro italiano di solidariet­à (Ceis) don Mario Picchi, che per semplice mancanza di know how in materia ha un magazzino pieno di opere d’arte sigillate e ferme lì, parliamo di Schifano, Linati, artisti di questo livello, io posso prendere il telefono e organizzar­e un’asta con le amiche di

e andrebbero riformate, però le cose si fanno se c’è volontà».

Può alzare il telefono e chiamare Giorgia, per un concerto al pianoforte, benefico, sette canzoni e l’omaggio all’immensa Aretha Franklin da poco scomparsa (Frida continua a ascoltare musica, passione della vita, e a curare la maxicollez­ione di LP rari, ndr).

«Chiamo aziende importanti, banche: i miei contatti. Faccio presente progetti meritevoli, vengo ascoltata: è una cosa che posso fare grazie al mio background, un aiuto che posso dare».

C’è una cosa un po’ da “sciura”, sorprenden­temente, nel curriculum di Frida dell’ultimo quinquenni­o, il posto nel board della American University a Roma, ma la cultura ha sempre avuto un ruolo centrale nella sua vita, e era uno spettacolo vederla pronunciar­e la parola greca sull’ideale classico di bellezza e nobiltà d’animo durante una conferenza stampa nel backstage d’una sfilata. «E poi», scherza, «l’università è uno straordina­rio serbatoio di tate americane, ragazze super con le quali Greta è cresciuta e grazie alle quali parla inglese alla perfezione, senza accento».

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