A PARIGI UNA PARETE DIGITALE IN NOME DEI BUDDHA DISTRUTTI
Erano persino sui francobolli. Come gloria nazionale afghana, e attrazione turistica. Arrivando nella vallata erano un colpo d’occhio spettacolare. Ma tutto questo prima della conquista dei talebani, nel 1996. Il primo assalto ai colossali Buddha di Bamiyan scolpiti nella parete di terra compatta e non di roccia, fu sferrato su quello più “piccolo” (alto 38 metri) già nel 1998. Inizialmente la cosa finì lì, anche se quello fu il primo allarmante segnale di un futuro attacco a un patrimonio artistico-culturale unico al mondo. Quei Buddha (risalenti al VI secolo) erano il retaggio della presenza di monasteri buddhisti. La “carneficina” dei Buddha fu ordinata il 26 febbraio 2001 dal Mullah Omar per distruggere falsi idoli e si completò il 26 marzo, nell’indignazione del mondo occidentale (specie americano) e asiatico, ma anche di una parte del mondo arabo che tentò di salvarli. Il ventennale di quello scempio viene ricordato (contenuti su YouTube e Vimeo), da una mostra al Musée Guimet di Parigi che celebra gli archeologi francesi Joseph e Ria Hackin che tanto lavorarono nella regione. E da un’altra al Louvre Lens con l’installazione di una straordinaria panoramica di 15 pannelli, lunga 16,5 metri, lavoro fotografico di Pascal Convert che ha ritratto la monumentale parete che li ospitava. Convert continua il progetto su Bamiyan dal 2016 insieme alla startup Iconem, che sta realizzando un modello digitale della parete e delle grotte, un tempo affrescate, e affumicate per cancellare tracce di una cultura non islamica.