Gli esclusi, le escluse e la tutela della polis
Che questo non sia un compito facile è spiegato da un testo teatrale, che fu rappresentato ad Atene intorno alla metà del V secolo a. C., nel momento del suo massimo splendore. L’Orestea di Eschilo è un ciclo di tre tragedie, dedicate alla casata di Agamennone, il re della vittoriosa spedizione troiana, di cui Omero aveva cantato le gesta nell’Iliade. Ma la trilogia racconta solo marginalmente di lui: il protagonista è il figlio, Oreste, costretto a una scelta drammatica. Sua madre, Clitennestra, aveva ucciso il marito Agamennone di ritorno da Troia. Oreste deve così scegliere, se vendicare o meno l’assassinio del padre. Decide di farlo, e uccide sua madre, rinnovando una catena di sangue che sembra non aver fine (e neppure inizio, perché la storia risale a ben prima di Agamennone e Clitennestra) – «Sono i morti che uccidono i vivi», afferma un personaggio: difficile esprimere meglio cosa sia la vendetta.
Incapace di sostenere il peso di quanto ha fatto, braccato dalle Erinni, divinità arcaiche che sovraintendono ai delitti di sangue, Oreste scappa ad Atene, dove la dea Atena deciderà di dirimere la questione istituendo un processo. La gestione della giustizia non può e non deve essere un fatto privato; d’ora in poi sarà la polis, la comunità di cittadini che
«Politica» è una delle tante parole del nostro vocabolario che derivano direttamente dalla Grecia antica. Il termine è imparentato con tradotto con «città» o «Stato». Di fatto, è la comunità di persone che vivono insieme: e politica è l’arte e il sapere che serve a regolare la loro convivenza.
si riunisce nei suoi organi rappresentativi, a farsene carico. Si vagliano le prove, si misurano le responsabilità, si scambiano ragionamenti. Alla fine Oreste è assolto, mentre Atena placa le Erinni, infuriate per il torto che ritengono di aver subito. Anche loro faranno parte del nuovo mondo. La politica nasce in questo momento, quando si riesce a emancipare dalla violenza e dalla vendetta .Ma questa è soltanto una parte della storia.
Mostruosa quanto si vuole, Clitennestra è anche una madre, che rivendica il legame di sangue che la unisce alla figlia. Un legame che Agamennone aveva tradito, obbedendo ad altre priorità: gli dèi gli avevano fatto sapere che mai avrebbero concesso alla sua spedizione di salpare per Troia se prima non avesse sacrificato la figlia Ifigenia. Agamennone aveva scelto il potere, sacrificandola. Anche Clitennestra aveva scelto, vendicando Ifigenia per rendere giustizia alla sua memoria, impedendo che sparisse nei recessi della storia. Vista con i suoi occhi, la storia raccontata da questa trilogia diventa una storia di oppressione e di esclusione, non di ricomposizione. Il problema non è soltanto quello ovvio dell’opposizione tra maschile e femminile, con le donne relegate sempre nella dimensione privata, quasi che non facessero veramente parte della comunità. Ifigenia e Clitennestra rappresentano più in generale anche gli esclusi, coloro che vengono lasciati dietro. Ieri come oggi, c’è Oreste, ma ci sono anche le Ifigenie — le tante persone che, come lei, rischiano di essere escluse dal nuovo mondo che si sta formando nella congiunzione di globalizzazione e pandemia. Solo se riuscirà a pensare anche a loro, trovando un modo di includerli, la politica potrà dire di aver svolto il compito a cui era chiamata. Prima che le Erinni tornino a scatenarsi.
Dario Morini dario.morini@fastwebnet.it
È ALMENO DA UN QUARTO DI SECOLO — in effetti — che il costrutto passivo appare poco usato in italiano, soprattutto nel parlato e negli usi più correnti della lingua scritta. Rimane piuttosto frequente solo nello scritto più formale e in particolare nei testi burocratici: da cui, peraltro, si cerca da almeno un quarto di secolo di farlo scomparire. Perché le frasi costruite al passivo risultano più complesse da comprendere e sono quindi sconsigliabili quando si cerca una formulazione linguistica chiara ed efficace anche per chi non ha grande dimestichezza con la lingua scritta (vale a dire, stando alle ultime statistiche, circa un terzo della popolazione italiana).
Come ribadisce Michele Cortelazzo nel suo recentissimo Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione (Carocci editore), «a parità di condizioni, è meglio usare una frase