Frasi al passivo? Buone per i burocrati
di forma attiva (“La legge punisce chi rilascia false dichiarazioni”), piuttosto che una di forma passiva (“Chi rilascia false dichiarazioni viene punito dalla legge”)». Anche perché — aggiunge — «il passivo, quando non viene completato dal complemento d’agente, permette di occultare l’agente (cioè colui che compie l’azione)» e «questa prospettiva non è coerente con i principi di trasparenza della comunicazione pubblica». Il costrutto passivo, insomma, rischia di rendere passivi anche i cittadini.
Sao ko kelle terre...
Nell’uso di tutti i giorni, a una frase costruita al passivo come «i libri sono stati ordinati da me» si tende a preferire di gran lunga una frase come «i libri li ho ordinati io». Il costrutto è quello che in linguistica si definisce «dislocazione a sinistra»: l’anticipazione di un elemento che viene poi ripreso tramite un pronome. Questa ripresa ha fatto spesso parlare le grammatiche (specie quelle scolastiche) di «ridondanza» o «pleonasmo». Si tratta, in realtà, di un tipo di costruzione che serve a mettere in evidenza un elemento della frase (altre volte anche tramite la dislocazione a destra: «li ho ordinati io, i libri») per ottenere particolari effetti comunicativi. E come tale è ininterrottamente attestato in tutta la linea maestra della nostra tradizione letteraria: da Boccaccio a Manzoni.
Già nel 1985, Francesco Sabatini (oggi presidente onorario dell’Accademia della Crusca) lo indicava fra i costrutti tipici dell’«italiano dell’uso medio»: quel nuovo italiano in cui si andavano progressivamente affermando tratti a lungo censurati dalla norma. Censurati sebbene presenti da sempre nella storia della nostra lingua. In questo caso addirittura nel testo che viene considerato il suo atto di nascita, il Placito capuano del 960: «Sao ko kelle terre … trenta anni le possette parte Sancti Benedicti».
LA «DISLOCAZIONE A SINISTRA» O «A DESTRA», POCO AMATA DALLE GRAMMATICHE, ERA GIÀ IN BOCCACCIO E MANZONI