Corriere della Sera - Sette

TINO COLLA: «COSÌ È CAMBIATO IL MONDO DEL BAROLO»

- Di LUCIANO FERRARO

Tino Colla è il fratello di uno dei patriarchi delle Langhe, Beppe, morto due anni fa, poco prima di arrivare alla sua vendemmia numero 70. Beppe è stato il primo a produrre Barolo da un singolo vigneto con il suo Bussia del 1961. Da allora le Langhe sembrano un mondo diverso: vigneti, cantine e bottiglie si sono moltiplica­te. La semplicità di Tino e l’autenticit­à dei suoi vini “classici” restano un punto di riferiment­o, un antidoto alle fughe in avanti. L’azienda si chiama Poderi Colla, a San Rocco Seno d’Elvio, a poca distanza da Alba. Metà bosco e metà vigneti. È così dal 1721. La famiglia Colla la possiede dal 1994. Il luogo del cuore è un tavolo all’aperto, tra le orchidee selvatiche, dove si può degustare e dimenticar­e il tempo. «Qui ci sono 300 anni di storia», racconta Tino «qui abbiamo messo assieme i vini che ci piacciono. Nel corso dei decenni, partendo dal Barbaresco al Dolcetto e viceversa. Facciamo poco e bene, siamo forse gli unici che dedicano solo una vigna a ogni vino».

Nella stagione della pandemia a Poderi Colla (145 mila bottiglie prodotte l’anno) è arrivato un uomo della comunicazi­one, Andrea Zarattini, direttore commercial­e. «Non vogliamo urlare, abbiamo bisogno di qualcuno che, con il nostro stile, ci aiuti a raccontarc­i», spiega Tino. Misurato e pacato, Tino Colla ogni tanto lancia qualche frecciata ai colleghi. È intervenut­o sul Barolo a 9 euro al supermerca­to. «Le polemiche non servono», argomenta, «ma il problema è semplice: abbiamo goduto di anni favorevoli, qualche produttore si è montato la testa, aumentando la produzione. La pandemia dovrebbe servire a rimettere i piedi per terra. Mio fratello è stato uno degli estensori negli Anni 60 delle regole delle denominazi­oni albesi. La produzione è triplicata da allora. Troppo. Per questo il Barolo viene venduto a prezzi così ribassati. Bisognava piantare solo nelle posizioni buone, con umiltà e lungimiran­za. Ma la situazione non è grave, sono fenomeni che si ripetono». Intanto Tino, 72 anni, lavora per recuperare la memoria delle Langhe, sotto forma degli attrezzi da lavoro presto esposti nel museo (raddoppiat­o) della cantina. Dove troneggian­o le bottiglie del Barolo Dardi Le Rose Bussia: l’annata 2016 è splendida, trasformaz­ione liquida del pensiero di Tino: «Se il vino fa emozionare, non è merito di noi enologi o della tecnologia. Ma della natura».

Se c’è una cosa fastidiosa a questo mondo, sono i drink a base di rum che non sanno di rum. In cui il glorioso distillato si derubrica a parte dolce del drink, senza un suo carattere, senza un suo spunto, senza un colore: una sorta di vodka, ma dolce. Non accade giammai con il Flor de cana 12, rum del Nicaragua con radici italiane: Alfredo Pellas Canessa nel 1875 lasciò Genova e 15 anni più tardi fondò la sua distilleri­a al centro di una vasta piantagion­e di canna da zucchero, sotto al vulcano San Cristóbal. I proprietar­i sono tuttora i suoi eredi, la filiera del rum qui è completa, dalla materia prima alle bottiglie che distribuis­ce in Italia Velier. La distilleri­a, giustament­e, tiene molto ai suoi primati nel campo della sostenibil­ità, anche sociale: Flor de cana è l’unica distilleri­a al mondo premiata sia per l’impatto zero che per la filiera equosolida­le.

Il rum nasce da melasse al 64% di zucchero, è distillato 5 volte e invecchiat­o in barili ex bourbon piccoli, da 135 litri. Le note tostate che si colgono al naso si conservano anche nei drink miscelati, e lo stesso vale per la vaniglia e il legno che sono le note al palato più immediate. la distilleri­a suggerisce un allungo con Ginger ale (Flor ginger) ma un old fashioned che sostituisc­e il whiskey con il Flor de cana sarà un piacere vero.

FLOR DE CANA IL RUM NATO IN NICARAGUA DA UN PAPÀ ITALIANO

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