EX LEADER & AFFARI NON FUORILEGGE, FUORI LUOGO
In America Joe Biden è partito annunciando piani di spesa da 4.900 miliardi di dollari e una somma così vasta non può essere semplicemente frutto di un’analisi. Numeri del genere non saltano fuori da un foglio excel. Non solo. Saltano fuori da emozioni potenti, come la paura. Paura della diseguaglianza e delle sue conseguenze in questo caso: il presidente degli Stati Uniti ha fretta di mettere soldi nelle tasche di decine di milioni di americani, perché gli ultimi anni hanno mostrato gli effetti sulla politica — e sui politici — della frattura sociale sempre più profonda fra chi ha e chi non ha. Nel fortino attorno a Biden c’è un establishment che, spendendo denaro del governo, vuole proteggersi dal rancore di chi è rimasto fuori.
Dopo un anno di pandemia, è ovunque il senso che l’accresciuta diseguaglianza nelle società occidentali non viene più tollerata facilmente. Specie se si diffonde la percezione che alcune persone si stanno arricchendo in maniera opportunistica, senza contribuire al bene comune. Guardate i politici, e soprattutto gli ex politici. Qualche anno fa le loro avventure private dopo l’addio al governo erano seguite al massimo con curiosità e un po’ di invidia. Gli incarichi, gli incontri, i discorsi e le relazioni che hanno portato a Tony Blair molte decine di milioni di dollari — dopo la sua uscita da Downing Street — all’inizio erano sopportati. Con fatica, lo è stata anche la scelta di Gerhard Schröder di diventare un intermediario per conto del colosso russo Gazprom nei suoi affari con la Germania. Un ex cancelliere tedesco si è messo al servizio del presidente russo Vladimir Putin e nessuno l’ha costretto a smettere. Poi però qualcosa si è rotto. Le tariffe da mezzo milione a discorso hanno fatto apparire Hillary Clinton disonesta e l’hanno azzoppata nella corsa alla Casa Bianca del 2016. L’opinione pubblica non sopporta più che i politici, dopo il potere o prima di tornare al potere, monetizzino la fiducia ricevuta dagli elettori. La reputazione di Blair è ormai segnata e così quella di Schröder. In Italia anche persone non ostili a Matteo Renzi trovano fuori luogo — benché non fuorilegge — che l’ex premier giri le capitali del Golfo per stringere mani a pagamento. Anche se di leader meno discussi del saudita Mohammed bin Salman. A Londra poi David Cameron, l’ex premier che volle il referendum sulla Brexit, sta perdendo la faccia per la sua attività da lobbista per il finanziere Lex Greensill (senza peraltro riuscire a salvarlo dal fallimento).
Si respira nell’aria che queste dinamiche non sono più accettate. Significa che abbiamo superato il picco e l’onda lunga della diseguaglianza sta per recedere? Forse. Ma gli ingranaggi che l’alimentano sono potenti, automatici, radicati. Prendete Janet Yellen, per esempio: neosegretaria del Tesoro, ex presidente della Federal Reserve, gigante intellettuale, persona inappuntabile e di sinistra, è l’anima della campagna di Biden per la difesa dei ceti medio-bassi. Nell’ultimo anno prima di entrare nell’amministrazione ha preso 800 mila dollari per parlare a eventi dello hedge fund Citadel, un milione per discorsi a Citigroup e altri cinque per incontri con Google, Goldman Sachs, Credit Suisse e via elencando. Dopo Covid, non basta fare debito per guarire gli squilibri delle nostre società.
INCONTRI, DISCORSI, CONSULENZE: FARE LOBBYING IN EPOCA DI CRISI ECONOMICA