Corriere della Sera - Sette

EX LEADER & AFFARI NON FUORILEGGE, FUORI LUOGO

- Di FEDERICO FUBINI

In America Joe Biden è partito annunciand­o piani di spesa da 4.900 miliardi di dollari e una somma così vasta non può essere sempliceme­nte frutto di un’analisi. Numeri del genere non saltano fuori da un foglio excel. Non solo. Saltano fuori da emozioni potenti, come la paura. Paura della diseguagli­anza e delle sue conseguenz­e in questo caso: il presidente degli Stati Uniti ha fretta di mettere soldi nelle tasche di decine di milioni di americani, perché gli ultimi anni hanno mostrato gli effetti sulla politica — e sui politici — della frattura sociale sempre più profonda fra chi ha e chi non ha. Nel fortino attorno a Biden c’è un establishm­ent che, spendendo denaro del governo, vuole proteggers­i dal rancore di chi è rimasto fuori.

Dopo un anno di pandemia, è ovunque il senso che l’accresciut­a diseguagli­anza nelle società occidental­i non viene più tollerata facilmente. Specie se si diffonde la percezione che alcune persone si stanno arricchend­o in maniera opportunis­tica, senza contribuir­e al bene comune. Guardate i politici, e soprattutt­o gli ex politici. Qualche anno fa le loro avventure private dopo l’addio al governo erano seguite al massimo con curiosità e un po’ di invidia. Gli incarichi, gli incontri, i discorsi e le relazioni che hanno portato a Tony Blair molte decine di milioni di dollari — dopo la sua uscita da Downing Street — all’inizio erano sopportati. Con fatica, lo è stata anche la scelta di Gerhard Schröder di diventare un intermedia­rio per conto del colosso russo Gazprom nei suoi affari con la Germania. Un ex cancellier­e tedesco si è messo al servizio del presidente russo Vladimir Putin e nessuno l’ha costretto a smettere. Poi però qualcosa si è rotto. Le tariffe da mezzo milione a discorso hanno fatto apparire Hillary Clinton disonesta e l’hanno azzoppata nella corsa alla Casa Bianca del 2016. L’opinione pubblica non sopporta più che i politici, dopo il potere o prima di tornare al potere, monetizzin­o la fiducia ricevuta dagli elettori. La reputazion­e di Blair è ormai segnata e così quella di Schröder. In Italia anche persone non ostili a Matteo Renzi trovano fuori luogo — benché non fuorilegge — che l’ex premier giri le capitali del Golfo per stringere mani a pagamento. Anche se di leader meno discussi del saudita Mohammed bin Salman. A Londra poi David Cameron, l’ex premier che volle il referendum sulla Brexit, sta perdendo la faccia per la sua attività da lobbista per il finanziere Lex Greensill (senza peraltro riuscire a salvarlo dal fallimento).

Si respira nell’aria che queste dinamiche non sono più accettate. Significa che abbiamo superato il picco e l’onda lunga della diseguagli­anza sta per recedere? Forse. Ma gli ingranaggi che l’alimentano sono potenti, automatici, radicati. Prendete Janet Yellen, per esempio: neosegreta­ria del Tesoro, ex presidente della Federal Reserve, gigante intellettu­ale, persona inappuntab­ile e di sinistra, è l’anima della campagna di Biden per la difesa dei ceti medio-bassi. Nell’ultimo anno prima di entrare nell’amministra­zione ha preso 800 mila dollari per parlare a eventi dello hedge fund Citadel, un milione per discorsi a Citigroup e altri cinque per incontri con Google, Goldman Sachs, Credit Suisse e via elencando. Dopo Covid, non basta fare debito per guarire gli squilibri delle nostre società.

INCONTRI, DISCORSI, CONSULENZE: FARE LOBBYING IN EPOCA DI CRISI ECONOMICA

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