Corriere della Sera - Sette

Scovare Vargas Llosa nel cinema all’aperto Forse un abbaglio...

- Di ANTONIO D’ORRICO adorrico@rcs.it

PER LA SERIE Incontri ravvicinat­i con il più grande scrittore vivente, da me inaugurata qualche rubrica fa con il racconto della volta che mi imbattei per strada a Firenze in Mario Vargas Llosa, ecco la prima puntata (gli incontri furono più d’uno e il finale è un giallo) della testimonia­nza fornita da Nico Vallese (che saluto caramente). Siamo nell’estate del 1985 (o ‘86) e siamo ancora a Firenze. «Ero al cinema con il mio ragazzo di allora al Forte di Belvedere, fantastica location, per vedere all’aperto un film (era Brazil, nei momenti topici si ricordano anche i minimi dettagli). Voltandomi per vedere chi ci fosse da salutare (bei tempi quando ci si trovava al cinema) rimasi di sale. Don Mario Vargas Llosa era seduto con la moglie, una bella donna mora, due file dietro. Non so se mi spiego, come trovarsi Mick Jagger alle spalle. Seguì concitato dibattito con il mio ragazzo: “È Lui”. “No, non è Lui”. “È impossibil­e che non sia Lui”. “Ma figurati se è Lui, sei sempre la solita esagitata”. Dovevo scoprirlo. Mi alzo e mi avvicino agitando una sigaretta tra le dita per chiedere di accendere (si fumava allora), pensando: “Se mi risponde in spagnolo...”. Occhi negli occhi pongo la fatidica domanda con un filo di voce allo scrittore che più amavo. Il tipo seduto accanto a don Mario scatta e gentilment­e, ahimè, sfodera un accendino precedendo­lo. Ritornai mestamente al mio posto e per tutto il film vidi solo sullo schermo la chiostra di denti bianchissi­mi del sorriso di

Vargas Llosa. Era stato un mio abbaglio?». Fine prima puntata (continua).

ALBERTO PIOVANI SCRIVE: «Compliment­i scontati. Non ho capito la risposta data al sig. Pio Ciampa sull’apertura delle chiese al tempo del Covid. Sì, probabilme­nte non sono molto arguto o colto, ma cosa vuol dire “abbiamo superato i centomila morti?” Faccia come se avessi sei anni». Vuol dire che bisogna pregare.

RITA ZENGARINI SCRIVE: «Il Joker di oggi (9 aprile) è un capolavoro. Il post scriptum (“Propongo un ex aequo”), a proposito di Dante e Mina, luminoso e lapidario. Grazie. Oh, non lo dico per lei, ma per me. Non vorrei andarmene senza essermi liberata di tutti i plausi, gli abbracci, le carezze che mi entusiasma­no. Non ho tempo da perdere. Leggerò Later di King che lei raccomanda».

TRE GIORNI DOPO RITA ZENGARINI SCRIVE: (alle 6.27 di mattina) una seconda mail. Later, a parte le prime 20 pagine, non le piace: «Non riesco ad abituarmic­i». Questo non significa che ritratta la prima mail, vero?

DAVIDE SFORZA È UN LETTORE che si inalbera. Una volta avevo detto che la mafia italo-americana l’aveva inventata Mario Puzo (Don Winslow, cresciuto da ragazzo con i goodfellas, me lo confermò di persona), e Sforza insorse: «Ora anche il Corriere ha la sua Barbara D’Urso: Antonio D’Orrico». Adesso scrive: «L’attore di Walter Tevis era Paul Newman? Ma David Bowie interpretò il suo personaggi­o più autobiogra­fico in L’uomo che cadde sulla Terra. Perché la cardiopati­a reumatica lo rese un “alieno”. Debole, fragile, solo». Appunto, il cardiopati­co Tevis sognava di essere Newman, lo spaccone.

CI SONO I LETTORI CHE SI INALBERANO E QUELLI CHE SI FIDANO: LEGGONO STEPHEN KING, MA DOPO 20 PAGINE LO MOLLANO

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