Sì, caro Pd: don Antonio è tornato
L’ultima volta, il Pd, il partito che contribuì a fondare, gli giocò uno scherzetto malvagio e suicida, che spianò la strada a Luigi de Magistris. Per la città fu una sciagura: rimasta dieci anni nelle mani di Giggino a’ manetta, il soprannome con cui de Magistris vinse le elezioni, Napoli appare adesso sudicia, grigia, strangolata dal traffico e terrorizzata dalla criminalità, esclusa da ogni dibattito culturale, piegata su sé stessa, incapace di trovarsi un ruolo in Europa e un posto nel futuro.
Bassolino – che da bambino, ad Afragola, leggeva Gramsci, per poi iscriversi al Pci, diventare deputato, ministro del Lavoro nel primo governo D’Alema e governatore della Campania – ha raccontato al Foglio che la decisione di candidarsi a guidare nuovamente Napoli (fu già sindaco dal 1993 al 2000) l’ha presa il 13 febbraio, il giorno del funerale di Paolo Isotta e dell’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Nella decisione, un miscuglio di ragioni forti: «Il dovere civico e morale di mettermi al servizio della mia città», ma anche – è probabile – una comprensibile e travolgente voglia di rivincita nei confronti dei dem. Lui, diplomatico: «Sono un uomo di sinistra, spero che stavolta mi appoggino».
A 74 anni, con le rughe di una vecchia quercia della politica, Antonio Bassolino torna dalla Prima Repubblica e, diciannove processi dopo, diciannove assoluzioni dopo, si ricandida a sindaco di Napoli.
Invece, come sappiamo, lo schema previsto al Nazareno per le prossime Amministrative prevede – in alternativa alle solite sanguinose primarie – una serie di alleanze con i 5 Stelle: e a Napoli dovrebbe toccare all’attuale presidente della Camera, Roberto Fico. Il quale, prima di incontrare la luce del grillismo, aveva questo curriculum: esperienze in alcuni uffici stampa, responsabile del personale in una società di ristorazione, dirigente di un tour operator, importatore di tessuti (dal Marocco), impiegato – per circa un anno – in un call center. Bassolino, legittimamente, ritiene di poter convincere ancora una volta i napoletani. «Vorrei riparare Napoli come un meccanico, ricucirla come un sarto, curarla come un giardiniere». C’è questo suono delle parole, quest’idea di politica. C’è che don Antonio è tornato, e ora vediamo Enrico Letta che fa.