Corriere della Sera - Sette

UNA VITA NASCOSTA DOPO AVER STERMINATO LA FAMIGLIA DORETTA

- Di ANDREA GALLI

Guido Badini, fidanzato e complice di Doretta Graneris: all’epoca del delitto aveva 21 anni al fidanzato Guido Badini, di tre anni maggiore, un balordo perditempo patito di estrema destra e armi e prostitute – mai relazione sarebbe stata più fuori sincro, e infatti lei la sostenne, sbandierò e portò in casa –, Doretta, diplomata al liceo artistico, uccise a colpi di pistola il padre Sergio e la madre Itala, di 45 e 41 anni, i nonni materni Romolo e Margherita, di 79 e 76 anni, il fratello Paolo, 13 anni, e il cane di famiglia, che viveva nella villa degli orrori, un duraturo centro dell’attenzione dell’Italia intera incuriosit­a e sbigottita – del resto, una delle più ferali killer della nostra storia criminale –: via Caduti nei lager 9, appunto a Vercelli, cadaveri e sedie nel soggiorno ribaltate dinanzi alla television­e che trasmettev­a uno spettacolo di Macario.

Dunque la pluri-omicida Doretta, adesso 64 anni, la stragista, la giovane assassina che nonostante quattordic­i ore nella caserma dei carabinier­i disse poco se non niente, e che anche dopo, ai processi, è stata più silente che loquace, perché in fondo sin da bambina s’è sempre tenuta tutto dentro, dunque la donna, mai più tornata a Vercelli se non forse di nascosto per le visite al cimitero, se ne sta trincerata in un piccolo appartamen­to, ignota perfino alla dirimpetta­ia. «Graneris chi?». Il condo

minio non è di quelli residenzia­li dove le buone maniere sono un obbligo sociale, come in fondo interessar­si, giusto un minimo, di chi siano e cosa facciano i vicini di casa. Insomma il posto giusto per Doretta, che apre la porta in ciabatte, tuta e maglioncin­o – è sabato pomeriggio –, ascolta la domanda e nemmeno ci pensa sopra. «No, grazie». Con tale fermezza da rendere già in partenza inutile un secondo tentativo. «No, grazie». Insomma una non notizia, alla fine della ricerca: Doretta, che vive sola, non contempla eccezioni e tace, tace, tace. Superfluo insistere oppure cercare appoggi nell’azienda di grafica e traduzioni, a una mezz’ora di distanza dal palazzo, che la vede impiegata.

Alle «Nuove», il vecchio penitenzia­rio di Torino, Doretta si era laureata in Architettu­ra soddisface­ndo l’antica passione per il disegno e la creatività. Già era previsto che i genitori le avrebbero pagato l’università e resta un esercizio retorico provare a intrufolar­si d’improvviso nelle dinamiche di famiglia, e affidarsi dandolo per esaustivo e definitivo a quanto mediaticam­ente noto, ovvero lo schema di una giovane di provincia senza alcun problema economico – il papà, gommista, aveva una ditta avviata e possedeva dei rassicuran­ti risparmi in banca – e di conseguenz­a,

Qui sopra Doretta Graneris durante il processo: il 13

novembre del 1975 insieme con il fidanzato uccise i genitori, i nonni, il fratellino Paolo e il cane. Furono esplosi 19 colpi per un teorema troppo spesso diffuso specie nella stessa provincia, una privilegia­ta che doveva baciare per terra e smetterla con l’ingrata inquietudi­ne.

I fantasmi

Invece Doretta soffriva: l’aspetto e il corpo che non le piacevano e le attiravano commenti offensivi dei compagni contro i quali non si opponeva invece macerandos­i; la regolare e noiosa quotidiani­tà… Più d’uno, all’epoca, insistette sulle carenze affettive, sui rapporti con padre e madre che erano poco fisici nel solco di una severità al contrario non soltanto verbale, in una sintesi sfacciatam­ente banale che peraltro spostava le responsabi­lità

Nel 1975 aveva 18 anni e insieme con il fidanzato uccise la madre, il padre, i nonni, il fratellino e il cane. Ora ha 64 anni, abita a Torino, fa l’impiegata e si è lasciata alle spalle l’incubo di quella sera nebbiosa

sulle vittime.

Quel Badini non piaceva a papà Sergio, punto. Per niente. Troppo distante, molle, inaffidabi­le. Doretta si ribellò e andò a vivere col fidanzato, a Novara, nell’appartamen­to di una sua zia, ma tra lui che lavorare neanche se obbligato e lei abituata alla bambagia e aliena alla fatica vera dell’esistenza, soldi non ne giravano, sicché tornarono presto a casa. I genitori speravano che quel fallimento le avrebbe aperto gli occhi ma Doretta decise di sposarsi, annunciand­o le imminenti nozze e moltiplica­ndo le visite a domicilio di Badini nella villa di Vercelli affinché cenasse con genitori e nonni, in previsione

Forse l’insensato piano di depistare gli investigat­ori, vestirsi a lutto, ereditare la ditta e la villa e il denaro sul conto corrente.

Diciannove i colpi di pistola (la Browning aveva un doppio caricatore).

All’esterno della villa, il complice Antonio D’Elia, uno scappato di casa, incaricato di procurare la macchina rubata per arrivare e fuggire.

Ma poi, fuggire. Gli assassini se ne stavano in un bar dopo aver fatto l’amore. Ai carabinier­i bastò la mimica facciale di Doretta, che alla notizia della strage in famiglia provò a simulare sorpresa e dispe

Dall’alto il nonno materno di Doretta Graneris, Romolo Zambon, 79 anni, la nonna Margherita Baucero, 76, il padre Sergio Graneris, 45 anni, la madre Itala Zambon, 41, e il fratellino Paolo, 13 anni razione. La caricarono in macchina e trasferiro­no in caserma. Crollò subito. Prima difese Badini, poi gli addossò ogni colpa. E quell’altro, uguale. Da difensore ad accusatore, da cuore rapito a scaricator­e di odio.

Negli anni di galera Doretta si era avvicinata al gruppo Abele di don Ciotti, lavorando per lui una volta ottenuti i primi permessi.

Le radici dell’odio

Frasi attribuite alla detenuta Graneris e colte ai margini dei processi, ci raccontano di sue brevi confession­i sempre relative al soffocamen­to di una giovinezza agiata ma tediosa, di un esasperato odio verso la provincia – ma pur vero che è cresciuta a Vercelli, comunque cinquantam­ila abitanti

–, di un inevitabil­e oscuro futuro nel quale, chissà, avrebbe dovuto occuparsi per forza, senza margine di obiezione, della ditta di famiglia.

Parole vere? False? Non cambia, permanendo ancora a distanza addirittur­a di 45 anni il profondo mistero sia sulla composizio­ne della coppia – chi ha plagiato chi – sia sulla sua degenerazi­one criminale. Loro due soltanto sanno.

E non è affatto escluso che Badini, nel frattempo lui pure uscito di prigione (era occupato come giardinier­e nel Bresciano), sia venuto a Torino in gita.

Interno numero…; via…; civico…

S’ignora se sia stata invenzione dell’avvocato, con preghiera di pubblicazi­one sui giornali oppure una circostanz­a reale, il seguente aneddoto: nel silenzio delle notti in carcere, i secondini distinguev­ano un bisbiglio; proveniva dalla cella di Doretta e in cella c’era lei, sveglia, inginocchi­ata, che parlava con i suoi morti ammazzati chiedendo scusa, una litania che durava fino all’alba.

E s’ignora se sia leggenda l’abitudine, in quel carcere, di affidare le aspiranti suicide alla stessa Doretta, con lei che puntualmen­te rassicurav­a le detenute donandole ascolto e parole d’amore, che rassicurav­a, che governava il momento critico guidando l’altra alla salvezza.

Nel breve periodo di sosta – non

Forse era un’invenzione dell’avvocato, ma si racconta che nel silenzio delle notti in carcere i secondini distinguev­ano un bisbiglio: Doretta era in ginocchio e chiedeva perdono

si trattiene protetta dalla porta ma ci viene incontro – Doretta diffonde un’aria di pieno controllo di se stessa e dello spazio che occupa, di ricerca immediata di una posizione di dominio, oppure di attacco anziché di difesa; la pelle e i capelli spenti, eredità non dell’età ma della galera, fissa diritto negli occhi, non tradisce nervosismo – ferme le mani, immota la postura, solidament­e ancorate al pavimento le gambe –, e quando torna in casa cammina all’indietro, per non dare le spalle. «Ha suonato lei prima? Non avevo sentito». Sorride. Richiude lenta la porta, non blindata e priva dello spioncino.

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