UNA VITA NASCOSTA DOPO AVER STERMINATO LA FAMIGLIA DORETTA
Guido Badini, fidanzato e complice di Doretta Graneris: all’epoca del delitto aveva 21 anni al fidanzato Guido Badini, di tre anni maggiore, un balordo perditempo patito di estrema destra e armi e prostitute – mai relazione sarebbe stata più fuori sincro, e infatti lei la sostenne, sbandierò e portò in casa –, Doretta, diplomata al liceo artistico, uccise a colpi di pistola il padre Sergio e la madre Itala, di 45 e 41 anni, i nonni materni Romolo e Margherita, di 79 e 76 anni, il fratello Paolo, 13 anni, e il cane di famiglia, che viveva nella villa degli orrori, un duraturo centro dell’attenzione dell’Italia intera incuriosita e sbigottita – del resto, una delle più ferali killer della nostra storia criminale –: via Caduti nei lager 9, appunto a Vercelli, cadaveri e sedie nel soggiorno ribaltate dinanzi alla televisione che trasmetteva uno spettacolo di Macario.
Dunque la pluri-omicida Doretta, adesso 64 anni, la stragista, la giovane assassina che nonostante quattordici ore nella caserma dei carabinieri disse poco se non niente, e che anche dopo, ai processi, è stata più silente che loquace, perché in fondo sin da bambina s’è sempre tenuta tutto dentro, dunque la donna, mai più tornata a Vercelli se non forse di nascosto per le visite al cimitero, se ne sta trincerata in un piccolo appartamento, ignota perfino alla dirimpettaia. «Graneris chi?». Il condo
minio non è di quelli residenziali dove le buone maniere sono un obbligo sociale, come in fondo interessarsi, giusto un minimo, di chi siano e cosa facciano i vicini di casa. Insomma il posto giusto per Doretta, che apre la porta in ciabatte, tuta e maglioncino – è sabato pomeriggio –, ascolta la domanda e nemmeno ci pensa sopra. «No, grazie». Con tale fermezza da rendere già in partenza inutile un secondo tentativo. «No, grazie». Insomma una non notizia, alla fine della ricerca: Doretta, che vive sola, non contempla eccezioni e tace, tace, tace. Superfluo insistere oppure cercare appoggi nell’azienda di grafica e traduzioni, a una mezz’ora di distanza dal palazzo, che la vede impiegata.
Alle «Nuove», il vecchio penitenziario di Torino, Doretta si era laureata in Architettura soddisfacendo l’antica passione per il disegno e la creatività. Già era previsto che i genitori le avrebbero pagato l’università e resta un esercizio retorico provare a intrufolarsi d’improvviso nelle dinamiche di famiglia, e affidarsi dandolo per esaustivo e definitivo a quanto mediaticamente noto, ovvero lo schema di una giovane di provincia senza alcun problema economico – il papà, gommista, aveva una ditta avviata e possedeva dei rassicuranti risparmi in banca – e di conseguenza,
Qui sopra Doretta Graneris durante il processo: il 13
novembre del 1975 insieme con il fidanzato uccise i genitori, i nonni, il fratellino Paolo e il cane. Furono esplosi 19 colpi per un teorema troppo spesso diffuso specie nella stessa provincia, una privilegiata che doveva baciare per terra e smetterla con l’ingrata inquietudine.
I fantasmi
Invece Doretta soffriva: l’aspetto e il corpo che non le piacevano e le attiravano commenti offensivi dei compagni contro i quali non si opponeva invece macerandosi; la regolare e noiosa quotidianità… Più d’uno, all’epoca, insistette sulle carenze affettive, sui rapporti con padre e madre che erano poco fisici nel solco di una severità al contrario non soltanto verbale, in una sintesi sfacciatamente banale che peraltro spostava le responsabilità
Nel 1975 aveva 18 anni e insieme con il fidanzato uccise la madre, il padre, i nonni, il fratellino e il cane. Ora ha 64 anni, abita a Torino, fa l’impiegata e si è lasciata alle spalle l’incubo di quella sera nebbiosa
sulle vittime.
Quel Badini non piaceva a papà Sergio, punto. Per niente. Troppo distante, molle, inaffidabile. Doretta si ribellò e andò a vivere col fidanzato, a Novara, nell’appartamento di una sua zia, ma tra lui che lavorare neanche se obbligato e lei abituata alla bambagia e aliena alla fatica vera dell’esistenza, soldi non ne giravano, sicché tornarono presto a casa. I genitori speravano che quel fallimento le avrebbe aperto gli occhi ma Doretta decise di sposarsi, annunciando le imminenti nozze e moltiplicando le visite a domicilio di Badini nella villa di Vercelli affinché cenasse con genitori e nonni, in previsione
Forse l’insensato piano di depistare gli investigatori, vestirsi a lutto, ereditare la ditta e la villa e il denaro sul conto corrente.
Diciannove i colpi di pistola (la Browning aveva un doppio caricatore).
All’esterno della villa, il complice Antonio D’Elia, uno scappato di casa, incaricato di procurare la macchina rubata per arrivare e fuggire.
Ma poi, fuggire. Gli assassini se ne stavano in un bar dopo aver fatto l’amore. Ai carabinieri bastò la mimica facciale di Doretta, che alla notizia della strage in famiglia provò a simulare sorpresa e dispe
Dall’alto il nonno materno di Doretta Graneris, Romolo Zambon, 79 anni, la nonna Margherita Baucero, 76, il padre Sergio Graneris, 45 anni, la madre Itala Zambon, 41, e il fratellino Paolo, 13 anni razione. La caricarono in macchina e trasferirono in caserma. Crollò subito. Prima difese Badini, poi gli addossò ogni colpa. E quell’altro, uguale. Da difensore ad accusatore, da cuore rapito a scaricatore di odio.
Negli anni di galera Doretta si era avvicinata al gruppo Abele di don Ciotti, lavorando per lui una volta ottenuti i primi permessi.
Le radici dell’odio
Frasi attribuite alla detenuta Graneris e colte ai margini dei processi, ci raccontano di sue brevi confessioni sempre relative al soffocamento di una giovinezza agiata ma tediosa, di un esasperato odio verso la provincia – ma pur vero che è cresciuta a Vercelli, comunque cinquantamila abitanti
–, di un inevitabile oscuro futuro nel quale, chissà, avrebbe dovuto occuparsi per forza, senza margine di obiezione, della ditta di famiglia.
Parole vere? False? Non cambia, permanendo ancora a distanza addirittura di 45 anni il profondo mistero sia sulla composizione della coppia – chi ha plagiato chi – sia sulla sua degenerazione criminale. Loro due soltanto sanno.
E non è affatto escluso che Badini, nel frattempo lui pure uscito di prigione (era occupato come giardiniere nel Bresciano), sia venuto a Torino in gita.
Interno numero…; via…; civico…
S’ignora se sia stata invenzione dell’avvocato, con preghiera di pubblicazione sui giornali oppure una circostanza reale, il seguente aneddoto: nel silenzio delle notti in carcere, i secondini distinguevano un bisbiglio; proveniva dalla cella di Doretta e in cella c’era lei, sveglia, inginocchiata, che parlava con i suoi morti ammazzati chiedendo scusa, una litania che durava fino all’alba.
E s’ignora se sia leggenda l’abitudine, in quel carcere, di affidare le aspiranti suicide alla stessa Doretta, con lei che puntualmente rassicurava le detenute donandole ascolto e parole d’amore, che rassicurava, che governava il momento critico guidando l’altra alla salvezza.
Nel breve periodo di sosta – non
Forse era un’invenzione dell’avvocato, ma si racconta che nel silenzio delle notti in carcere i secondini distinguevano un bisbiglio: Doretta era in ginocchio e chiedeva perdono
si trattiene protetta dalla porta ma ci viene incontro – Doretta diffonde un’aria di pieno controllo di se stessa e dello spazio che occupa, di ricerca immediata di una posizione di dominio, oppure di attacco anziché di difesa; la pelle e i capelli spenti, eredità non dell’età ma della galera, fissa diritto negli occhi, non tradisce nervosismo – ferme le mani, immota la postura, solidamente ancorate al pavimento le gambe –, e quando torna in casa cammina all’indietro, per non dare le spalle. «Ha suonato lei prima? Non avevo sentito». Sorride. Richiude lenta la porta, non blindata e priva dello spioncino.