E al basso, Michele Alboreto
«Sono note le mie simpatie per Michele Alboreto. È un giovane che guida tanto bene, con pochi errori. È veloce, di bello stile: doti che mi rammentano von Trips, al quale Alboreto somiglia anche nel tratto educato e serio. Ho sostenuto che è tra i sei migliori della Formula 1…».
Parole di Enzo Ferrari, il leggendario fondatore dell’avventura più iconica del Made in Italy, a consacrare quel pilota italiano che aveva fortemente voluto nella sua scuderia, in barba a chi preferiva gli stranieri. Figura di Pilota Gentiluomo — anche se l’estrazione sociale non era privilegiata, piccola borghesia di Rozzano — che è riuscito ad acciuffare l’ascensore sociale e a cambiare il suo destino in un’Italia che ancora permetteva vistosi cambi di carreggiata e status.
Quando, dopo una dura gavetta e una scalata non facilitata dalle finanze paterne, Michele riuscì ad approdare in Ferrari per volontà proprio del Commendatore, si impegnò allo spasimo sfruttando anche le sue doti di ex meccanico: le auto e la voglia di farle correre erano tutta la sua vita. «Ci eravamo conosciuti perché abitavamo nella stessa strada e a 16, 17 anni, frequentavamo le stesse compagnie, lui non aveva ancora la patente, ma la passione sì» ha raccontato Nadia Astorri Alboreto, la moglie cresciuta con lui, a Franco Nugnes, direttore di Motorsport. Nasce in quegli anni il mito di Alboreto pilota gentile ed eroe pop di un marchio da sogno nazionale. Topolino dedica un’avventura disegnata da Giorgio Cavazzano al pilota Alberetto che corre sulle Perrari. E il primo Cinepanettone Anni 80, Vacanze di Natale dei Vanzina, mette in scena il milanese ricco e sbruffone, Guido Nicheli, che quando arriva a Cortina