Corriere della Sera - Sette

Leggono di più dei compagni: 12 libri l’anno per il 13%

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Il clichè le vuole insensibil­i al fascino della carta stampata. Eppure le ragazze di oggi amano i libri tanto quanto quelle di ieri, se non di più: il 13 per cento delle diciottenn­i legge almeno 12 libri all’anno, contro il sette per cento del 2001 (Istat). Enrico Racca, direttore editoriale delle collane Mondadori dedicate a bambini e ragazzi, spiega: «Le lettrici sono più numerose dei lettori in ogni fascia di età, ma le ragazze sono lo zoccolo duro per chi fa il mio mestiere. Tra le più grandi noto anche un interesse crescente per gli audiolibri». Dunque la lettura resiste, nonostante social & Co? «La minaccia dei device tecnologic­i sembra colpire di più i maschi». Quanto ai gusti letterari, difficile generalizz­are: le ragazze sono onnivore. Più dei coetanei, anche in questo caso. «Quando vendiamo un libro, non sappiamo chi lo legge», precisa Racca. «La sensazione che abbiamo, però, è che mentre le ragazze leggono di tutto, i ragazzi evitano i libri percepiti come “per femmine”». 18 per cento. Tra i motivi, ne prevale uno: «Papà è assente». Il rapporto tra le zoomer e i genitori, comunque, per lo più è buono. E non era scontato, spiega Capeci: «La Gen Z è concreta e attenta al bene comune, mentre la X (quella di molti dei loro genitori, ndr) è più rivolta a sé stessa, ambiziosa, scettica. Difficile trovare un terreno comune». I genitori in media sono ritenuti permissivi. «Ci danno tutto», dicono Kessy e Mely. «Se ci impongono limiti è solo perché non si fidano degli altri». Le aspettativ­e di mamma e papà, però, si fanno sentire. Nel bene e nel male. «A volte temo di non essere all’altezza», confessa Elena P. «Se prendevo sette a scuola papà non mi firmava il diario», ricorda Mariam. «Diceva che potevo fare di meglio. Mi ha insegnato a non accontenta­rmi».

«Vivo nell’ansia»

Molte di queste ragazze convivono con l’idea di dover sempre dare il massimo. L’eventualit­à di non riuscire a realizzars­i le terrorizza. «Ansia e stress sono le mie compagne di viaggio perenni», commenta Elena P. Vale anche per Clarice: «Vivo nell’ansia, come tutta la mia generazion­e. Forse ci sentiamo oppressi da un sistema in cui se eccelli vali, altrimenti non sei niente». La psicoterap­euta Sofia Bignamini (autrice di Quando nasce una donna, Solferino) spiega quali sono le tipologie di disagio prevalenti: «L’ansia da prestazion­e scolastica, traduzione dell’esortazion­e a essere prestanti, e quella da separazion­e, che si vede nella fatica a uscire dal nido domestico». Non stupisce che diverse genZ si affidino a un terapeuta. Come Sofia: «Ho iniziato a 15 anni, dopo aver raggiunto un milione di follower su Instagram».

Anche la propria immagine spesso è fonte di frustrazio­ne, specie tra le più giovani. Non tutte, però. «Non mi vedo bellissima, ma credo che il carattere conti più dell’aspetto fisico», dice Adele (che, ricordiamo, ha 14 anni). Elena S confida: «Ci ho messo anni per riuscire a uscire struccata. Prima se avevo un

48% solo brufolo non mi muovevo di casa». «Molte pensano di valere meno perché sui social vedono solo fisici perfetti», commenta Kessy. Irene concorda: «A volte mi demoralizz­o. La colpa è dei social». Secondo Bignamini per molte genZ si può parlare di «fragilità narcisisti­ca»: «A causa della tecnologia sono molto esposte allo sguardo altrui. Vogliono essere ammirate ma al tempo stesso provano vergogna». Ma la Rete può anche fare bene. «Grazie al lato buono di Internet abbiamo sviluppato empatia. Siamo una generazion­e molto accepting (aperta e inclusiva, ndr)», sostiene Casadilego. Il merito, per lei, è anche dei mantra social della body positivity. «Sono messaggi positivi, ma per vederne davvero gli effetti ci vorranno anni», puntualizz­a Martina Mensi, neuropsich­iatra dell’Istituto Mondino di Pavia, specializz­ata nei (sempre più diffusi) disturbi alimentari.

Se i jeans non si chiudono

La tecnologia è uno dei temi su cui è più forte lo scollament­o tra Gen Z e adulti. «Dicono che siamo attaccati al telefono, ma è l’unico mezzo che ci permette di stare in contatto con chi è lontano e staccare la spina», protesta Irene.

31%

32%

siete sopravviss­ute e che l’ha aiutata molto nei campi, è quasi una figlia per lei, no? E Marco, nipote di Nelo, che viene spesso a casa. — Proprio adesso deve venire, ho dimenticat­o... Ah, i gigli sì, grazie!

— Ma perché gridi, che facce avete, cosa nascondete?

— L’ho appena saputo, viene un ospite grande, non ti posso dire... Resta qui con me. Adesso decidiamo insieme che fare, cosa dire, come vestirci, come salutarlo.

Deborah mi guarda incredula, scuotendo la testa in un «no, no, non ci credo», e all’improvviso tutte e tre regrediamo all’infanzia

costretta a stare sulle ortiche con il sedere nudo. Nessuno mi avrebbe tolto il saluto, né aizzato il suo cane contro. Nemmeno i bambini alla fontana avrebbero sputato nel mio secchio. E i ragazzi infettati dalla propaganda razzista e gonfi di potere impunito non avrebbero rotto la testa di mio fratello maggiore. E il medico condotto non avrebbe negato una visita all’altro più piccolo che soffriva di appendicit­e, e per operarlo non c’erano soldi né possibilit­à perché a noi era proibito viaggiare e uscire di casa dopo le sei. Se fosse apparso in tempo, nel mio villaggio di poche anime si sarebbero inginocchi­ati tutti di fronte a noi, tutti in piedi. Mia madre si è inginocchi­ata una sola volta nella sua vita, durante la selezione, quando un soldato tedesco voleva separarmi da lei, io la più piccola dei suoi tanti figli. Per calmare i più selvaggi che osavano tirare la barba agli ebrei più ortodossi e li spingevano nei canali con l’acqua sporca, forse sarebbe bastata la maga del villaggio, molto ascoltata e temuta, se non fosse stata anche lei contro di noi.

Ah, vederli così indifesi, rassegnati, senza la minima reazione, il mio piccolo cuore s’era rattrappit­o, aveva quasi smesso di battere. Se allora e non ora fosse apparso Colui che stiamo aspettando!

Sai, non ti ho ancora detto che a volte mi vergogno di vivere, di essere arrivata alla soglia dei novant’anni, potrei essere nonna dei miei genitori, annientati quando avevano poco più di quarant’anni. Amo la vita, l’ho difesa con tutte le mie forze e non la cambierei mai, nonostante il mio vissuto che non potrò mai né descrivere né raccontare fino in fondo, nemmeno quando vado in giro nelle scuole

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